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Antonio e la lucertola
Il magistrato Silvia Cecchi è l’autrice del libro “Antonio e la lucertola. Dal paradigma imputatocentrico al paradigma offeso centrico” (Liberilibri, pagg. 122, postfazione di Rosario Salamone, euro 13). Cecchi, sostituto procuratore presso la Procura di Pesaro, riflette sulla necessità di superare la logica su cui si basano sia l’impianto sanzionatorio che l’interpretazione e l’applicazione delle norme penali. «Un sistema penale – evidenzia nella premessa - che vacilla sotto l’attacco di critiche e perplessità, dal suo interno come dal suo esterno, e di cui nessuno è contento, ci interroga sui fondamenti primi su cui esso si regge». Quali, dunque, le soluzioni suggerite? Quali strade si possono percorrere? Sono queste alcune domande che Cecchi, da magistrato e da cittadina, si pone, e le presenta ai suoi lettori. Cerca di trovare una risposta adeguata, partendo dalla sua esperienza di sostituto procuratore. Il primo passo da fare è sostituire il paradigma imputato centrico, un diritto penale che verte sul fatto e sull’offesa come quello previsto dalla Costituzione, con il paradigma offesocentrico. È un’operazione non banale e nient’affatto semplice. Si tratta di una rotazione prospettica che apporterebbe importanti benefici, utili a chiarire le ragioni della penalità, a interpretare e applicare in concreto le norme penali e a individuare le sanzioni più appropriate. Le argomentazioni di Silvia Cecchi partono dall’incontro con un detenuto di lungo corso, Antonio, dopo un permesso premio di tre giorni concesso all’ergastolano (sta scontando il ventiquattresimo anno di carcere e ha 48 anni). Antonio, con una lunga carriera nella criminalità organizzata pugliese, può prendere confidenza con la libertà in quanto ospite del cappellano del carcere di sicurezza, don Guido, in cui è recluso. Durante il colloquio, ascoltando la sua storia e i suoi trascorsi delittuosi, il magistrato suggerisce al detenuto di leggere un libro-memoriale, scritto da un altro detenuto, con la promessa al successivo incontro di parlare del mito di Narciso ed Eco. Una scelta non casuale, dato che solo quando Antonio riconoscerà sé stesso in entrambi - l’io-narciso crudele e il dolore di Eco che diventa il suo dolore potrà riflettere sulla propria carriera criminale, sulle proprie origini e conoscersi meglio, magari pentendosi. Il libro, come anticipato, si sofferma «sui limiti di un sistema imputato centrico come tuttora è il sistema penale-sostanziale, penale-processuale e penale- sanzionatorio». Dall’altro lato, invece, si pone all’attenzione la vantaggiosità «dell’adozione della prospettiva del bene offeso» che l’autrice definisce «offeso centrico o bene centrico». Nel momento in cui si procederà alla scelta e applicazione/ esecuzione della sanzione non si potrà fare a meno di valutare la complessità della persona, la sua storia e la sua indole, andando oltre il momento dell’accertamento della responsabilità. «Occorre allora – dice Cecchi – almeno un carcere diverso, che preveda l’esperienza di questi momenti fondamentali per la ricostruzione del sé. Occorre una diversificazione delle sanzioni penali rendendole responsoriali, se vogliamo che la sanzione sia “rieducativa”. Occorre che ogni tipologia di sanzione preveda contenuti relazionali». Occorre quindi, al momento della scelta e dell’applicazione ed esecuzione della sanzione, valutare la complessità della persona, la sua storia, la sua indole. Le pagine di “Antonio e la lucertola” si collocano in un momento importante e delicato per la giustizia, scandito da riforme che potrebbero essere epocali per tutti noi. Lo sa bene l’autrice che nella sua carriera ha incontrato persone molte volte poco attente al bene più prezioso: la vita (loro e degli altri). «Partire dai beni – riflette Cecchi -, va detto senza mezzi termini, significa anche riconoscere una matrice assiologica al diritto penale, la cui ragion d’essere è in quella ponderazione valoriale entro la quale la Carta costituzionale colloca i beni a cui va accordata tutela penale. Significa riproporre in altre parole una “eticità” del diritto, pur dopo averne bandita ogni tentazione soggettivistica e ideologica, trasferendone il centro focale sulla (etica della) relazione. Significa auspicare una riforma, preceduta da una rilettura critica dell’esistente, del diritto penale sostanziale e processuale che tenga conto di queste direzioni di pensiero». Serve, a detta dell’autrice, recuperare la “logica del bene giuridico” per uscire dalla crisi di valori, che da tempo ci ha investito, e per ridare credibilità al sistema giudiziario. Silvia Cecchi offre con questo testo un’ottica interpretativa differente per la trattazione dei problemi più delicati della penalità contemporanea. Intende richiamare l’attenzione su temi che sono entrati nella coscienza di tutti i cittadini e che è opportuno far uscire dalla ristretta cerchia degli addetti ai lavori (avvocati, studiosi e magistrati).Due lettere di un altro Antonio, Antonio Gramsci, chiudono il libro. Il fondatore del Partito Comunista dal carcere di Turi nel 1929 si rivolgeva così al figlio Delio: «Ed io ti darò notizie di una rosa che ho piantato e di una lucertola che voglio educare». La postfazione è affidata a Rosario Salamone, giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Roma e direttore dell’Ufficio Scuola della Diocesi di Roma.