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“Perché lavorando ogni giorno tra le pareti della fabbrica e le macchine e i banchi e gli altri uomini per produrre qualcosa che vediamo correre nelle vie del mondo e ritornare a noi in salari che sono poi pane, vino e casa, partecipiamo ogni giorno alla vita pulsante della fabbrica, alle sue cose più piccole e alle sue cose più grandi, finiamo per amarla, per affezionarci e allora essa diventa veramente nostra, il lavoro diventa a poco a poco parte della nostra anima, diventa quindi una immensa forza spirituale”. È l’incipit del discorso di Adriano Olivetti alle maestranze in occasione dell’inaugurazio-ne nel 1955 dello stabilimento di Pozzuoli.
Olivetti è stato un imprenditore del Novecento con una grande visione della società e dell’impresa, un importante editore e anche scrittore e innovatore sociale. Per festeggiare i 10 anni della Fondazione “Con il Sud”, Carlo Borgomeo presidente dal settembre 2009, autore di numerose pubblicazioni, tra cui “L’equivoco del Sud. Sviluppo e coesione sociale”, ( Laterza), profondo conoscitore delle dinamiche socio- economiche del Mezzogiorno, esperto di sviluppo locale e di politiche di promozione di imprenditorialità - ha scelto di ricordare la figura di Olivetti mediante la ripubblicazione del suo libro “Ai Lavoratori” ( Edizioni della Comunità). Nella prefazione, Luciano Gallino ricorda che «Olivetti si adoperava per dar vita ad un’impresa dove il lavoro, la cultura, la scienza, infine “gli ideali di giustizia” fossero elementi operanti ogni giorno nella vita di ciascun lavoratore».
Presidente Borgomeo, chi è per lei Adriano Olivetti e chi sono oggi gli imprenditori olivettiani?
Olivetti è stato un grande imprenditore. Non condivido il pensiero di chi lo considera un utopista. Ha dimostrato che si può essere grandi imprenditori ed avere particolare attenzione per la comunità, per le relazioni sociali, per il “benessere”, si direbbe oggi.
Oggi quale impresa italiana, quali manager e quale cultura imprenditoriale possono somigliare a quella olivettiana?
Ce ne sono tante che riescono a coniugare in maniera intelligente la giusta efficienza ed efficacia dell’azione dell’iniziativa imprenditoriale con il rispetto di determinati valori.
Uno degli aspetti rilevanti della sua concezione sta nel valore e nella dimensione della fabbrica: luogo di produzione e di innovazione sociale. È così?
Sì, Olivetti aveva una concezione della fabbrica come un luogo di produzione, ma si ricordava anche che le persone dovevano viverci. Questo spiega perché è stato così attento all’architettura e perché c’è quella pagina fantastica del suo discorso all’inaugurazione dello stabilimento di Pozzuoli, in cui descrive la logica con cui è stato costruito, quasi chiedendo scusa a persone che erano abituate a stare in una natura bellissima e ospitale. Chi conosce quello stabilimento sa che contiene il massimo sforzo per non creare rottura con l’ambiente, dotando gli spazi di grandi finestre, giocando sulla luce e sulla connessione con i luoghi.
La responsabilità sociale di impresa olivettiana è ancora oggi molto moderna? Si può riportare Olivetti nel dibattito sulla contemporaneità?
È molto tardi perché, come si vede da tanti segnali, il meccanismo per cui l’azienda è diventata il luogo della spietata ricerca di efficienza ha portato a moltissimi danni. Non si tratta solo di una valutazione di carattere etico, bensì anche di convenienza: fare impresa sottovalutando il valore della persona e quello della comunità dentro e fuori l’azienda è sbagliato anche da un punto di vista imprenditoriale. Torniamo a quanto detto in precedenza: chi pensa che Olivetti fosse un sognatore, sbaglia. Olivetti aveva queste visioni, ma era un grande imprenditore. Non dimentichiamo che con la Lettera 22 ha conquistato il mondo.
Un imprenditore illuminato anche per le architetture delle sue fabbriche e di alcuni villaggi fatti costruire, come il bellissimo stabilimento di Pozzuoli e quello di Ivrea dove sono custoditi gli archivi. Con tutto quello che ha seminato, qual è la sua eredità più vera?
Adriano ci ha lasciato un patrimonio di pensiero e di testimonianze importantissime. Sono particolarmente contento di quanta attenzione si vada riaccumulando sulla sua figura. Quando abbiamo organizzato la tappa di Napoli dedicata a Olivetti uno degli appuntamenti della manifestazione per i 10 anni della Fondazione “Con il Sud” - sono rimasto molto sorpreso dal grande afflusso di persone e soprattutto dalla loro eterogeneità. Hanno partecipato all’incontro persone del mondo della cultura, del sociale, dell’imprenditoria. Il messaggio di Olivetti colpisce tutti.
Nel Sud manca il senso di comunità ma soprattutto, presidente lei afferma spesso che senza investimenti nel welfare di comunità non ci può essere nessuna politica di sviluppo. in concreto che significa?
Questo è un concetto ormai tradizionale per la Fondazione “Con il Sud”. Occorre capovolgere il paradigma: siamo abituati a pensare che il welfare, la coesione sociale, l’inclusione sociale siano un esito della crescita economica. È un errore. Si dimostra nei fatti che è vero esattamente il contrario. Se non c’è crescita delle comunità, se non c’è una ricerca continua di percorsi di inclusione sociale, lo sviluppo economico non arriva.
L’apologia del mercato ha ancora un senso? E quale? E con cosa, eventualmente deve essere sostituita?
L’apologia del mercato non esiste più. Che il mercato abbia la capacità di correggere i difetti e gli effetti negativi che esso stesso determina ormai non lo pensa più nessuno. Bisogna accettare un approccio di questo tipo: il meccanismo capitalistico tradizionale - quello che ha avuto il suo exploit negativo con la grande crisi finanziaria del 2008 - non è più evidentemente un modello plausibile per lo sviluppo del pianeta. Si potrebbe allora dire: qual è il modello alternativo? È in costruzione. È un modello nel quale - al di là e contro qualsiasi ipotesi di decrescita economica - ha una grande importanza il concetto di sostenibilità. L’iniziativa economica ha senso se è sostenibile: non in una chiave strettamente ed esclusivamente ecologica e ambientalista ma da tutti i punti di vista, sociale, dell’uso della terra, dei beni comuni e anche ovviamente dell’ambiente in senso stretto. L’obiezione potrebbe essere che si tratta di un modello non ancora definito. Controbiezione: ricerchiamo, costruiamo un modello diverso partendo dal giudizio ormai unanime che quello precedente ha fallito.
La globalizzazione ha allargato la forbice della disuguaglianza. Qual è l’antitodo giusto?
Voglio riprendere il pensiero del Premio Nobel per l’Economia Amartya Sen, nostro ospite al recente incontro che la Fondazione ha organizzato a Roma in occasione del suo decimo compleanno. La globalizzazione ha arricchito il mondo dal punto di vista scientifico e culturale, così come ha recato benefici economici a molti popoli. Quello di cui c’è bisogno è però una distribuzione più equa dei suoi frutti.