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Il blitz comincia all’alba. Nell’istante esatto in cui il mondo è sospeso tra torpore notturno e veglia. È chirurgico, e si muove sul canovaccio di un rito antico. La casa è circondata, avvolta solo dal vociare sussurrato e ovattato delle forze speciali. È un silenzio irreale, rotto d’improvviso dal rumore sordo della porta che cede all’ariete.
È l’annuncio che la giustizia ha scelto il suo nuovo teatro d’azione. Dentro, nella casa presa d’assalto, ogni cosa è sospesa, paralizzata dall’irruzione. Un uomo, una donna, una ragazzina di 15 anni: corpi immobili, congelati in una fissità catatonica dagli ordini secchi di una lingua impersonale e severa. E poi c’è Jamie, il piccolo Jamie, tredici anni, capelli rossi come il fuoco di un’accusa, occhi umidi di sonno, pelle eburnea, già spettatore del proprio destino che si materializza in divise e fucili spianati. Il blitz lo raggiunge nel letto, lo strappa al torpore con la violenza di un presagio. Jamie è terrorizzato, si urina addosso, è l’ultimo riflesso da bambino prima di essere scaraventato nel mondo terribile degli adulti. È lui, Jamie, la preda del blitz.
Adolescence, la serie Netflix che mette in scena la giustizia minorile con la precisione di un bisturi e la freddezza di un’anatomia forense, non offre consolazioni e il piccolo Jamie entra nel sistema giudiziario con il marchio di Caino: omicida. È l’accusa più grave, quella che lo strappa via dall’infanzia nel giro di una sola mattina, che svuota le guance paffute di innocenza e inaridisce ogni possibile indulgenza. E così vediamo passare quel detenuto ragazzino di mano in mano: dalla stretta ferrea degli agenti, alle cure del suo avvocato, unico riparo in quel mondo che non conosce.
Lo smarrimento di Jamie, e il nostro smarrimento, si riflette nei corridoi vuoti, illuminati dal neon della centrale di polizia. Ogni scena è una lama che incide la carne viva del diritto: l’implacabile protocollo giudiziario che non concede sconti neanche a un bambino nonostante le attenzioni e il tentativo di una protezione impossibile. Siamo avvinti in un gioco di luci e ombre, di speranze immediatamente frustrate, azzittite.
Da un lato assistiamo alla determinazione meccanica degli agenti, la loro coreografia d’acciaio e silenzio, il loro addestramento che li rende funamboli tra la legge e l’abisso. Dall’altro, quando per un istante si spogliano del loro ruolo, ci sembra di intravedere le crepe che si formano tra le pieghe della loro divisa: un sospiro, il messaggio di un figlio, di una moglie che svela la loro umanità.
La giustizia è implacabile ma non è cieca: osserva, scruta, oscilla tra il dovere e la pietà. E mentre la narrazione avanza, come un’indagine che non ha mai fine, Adolescence ci costringe a guardare in faccia un sistema giudiziario che schiaccia tutti: indagati e agenti, vittime e carnefici, in un continuo scambio di ruoli che toglie il fiato.