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Addio a Mordillo. A voi sentimentaloni lasciamo volentieri il Mordillo delle coppie, degli animali, delle sue inarrivabili giraffone, e per noi teniamo il calcio. Anzi, di più.
Ci barrichiamo proprio dentro la porta, come lui aveva immaginato migliaia di volte per raccontare quel sentimento antico che poi è la solidarietà gioiosa di opporsi al più forte, al Terribile, a un nemico che non si vede quasi mai e che mette paura, eppure noi ne stiamo ridendo a crepapelle facendolo ammattire con mille furbizie, ora abbassandogli all’improvviso la traversa, ora spostandogli la porta, montandogli inaccessibili fortezze Bastiani.
E poi certo, idealmente e appassionatamente siamo tutti sulla riga della porta, proprio come in Champions s’inventò lo Special One, allora allenatore del Chelsea, quando piazzò su quella estrema fettuccia di gesso il pullman della squadra per non far passare l’Atletico di Simeone.
Ne nacquero spernacchiatissime vignette sul web, ma cos’altro erano se non succedanei gioiosi e sgarrupati delle tavole del Maestro?
Mordillo, a suo modo, è stato un grande anticipatore, il più grande negazionista del calcio spettacolo che la storia ricordi, sempre seguendo lo stradone del politicamente corretto dove non sei un uomo se non giochi il calcio champagne.
Ci ha raccontato che esiste anche un’altra vita, quella di non vergognarsi delle proprie debolezze, semmai facendole fruttare contro quelli evidentemente più dotati dai quali non avresti scampo se non utilizzi le armi della fantasia e di una certa furbizia contadina.
Ci ha anche spiegato che il calcio è uno sport democratico per definizione, dove tutti “devono” giocare.
Com’era quel tempo antico in cui se vedevi un assembramento di bambini/ ragazzi che giocavano a pallone ti potevi unire senza esibire il patentino di Coverciano.
Monumentali, infatti, sono i suoi “mischioni” sul rettangolo verde dove si esibisce una quantità indefinita di persone.
Come in una centrifuga impazzita di gesti, corse, inseguimenti, che ti fanno dimenticare persino dov’è finita la palla. Già, ma dove è finita la palla?
C’è una sua vignetta che ormai ha fatto storia e che oggi possiamo consacrare come Suo ( e nostro) testamento.
È quella che pubblichiamo in alto in cui le due squadre si sporgono da una roccia altissima - saranno millantamila metri di altezza, ma come ci sono arrivati sino a lì?
Ecco la morale di Mordillo: non ci sono luoghi inaccessibili per stare insieme e divertirsi .
Si sporgono e disperati guardano il pallone che nel frattempo è caduto nel mare, com’era naturale che fosse non avendo protezioni sul campo di gioco.
E subito capiscono che la partita finisce lì, perché anche il divertimento a un certo punto finisce.
Perché così è la vita.
Quei giocatori siamo stati noi ragazzi ogni volta che abbiamo inventato un rettangolo verde in mezzo al cemento, giocando per strada, nei cortili, nelle curve delle strade con il “palo” che urlava «macchina».
Allora noi tutti ai lati della strada, temendo che prima o poi un colpo assassino di uno di noi, e quasi mai il più scarso, semmai il più dotato eccedendo in sicurezza, sparasse la palla “oltre” qualcosa o “contro” qualcosa.
Con il che definire in modo incontrovertibile la fine delle ostilità pallonare, perché la sfera veniva requisita dal vecchiardo di turno al quale avevi rovinato il sonno.
Ma vaff…
Il paradosso di usare il calcio, sport popolare e accessibile per definizione, riproducendolo in luoghi impossibili, è stata una delle stelle polari di Guillermo Mordillo.
Sopra una roccia, tra le colline ondulate di una vallata, dove ondulato così diventava anche il campo, persino tra i grattacieli.
Sapendone la specificità, però ai grattacieli Mordillo affiancò - con rara puntualità snobistica - il piacere di una disciplina esclusiva come il golf.
Senza pélouse, ma con il cielo azzurro a far da tappeto, sospesi tra parallelepipedi d’acciaio, i giocatori cercano una buca come Armstrong la Luna quel luglio del ’ 69.
Ecco, tra neppure un mese saranno cinquant’anni dallo sbarco che fece litigare Ruggero Orlando ( da Cap Canaveral) e Tito Stagno ( da Roma).
«Ha toccato», «No, non ha ancora toccato», mentre a casa noi si era senza fiato pensando a quale impresa era riuscito l’Uomo.
Le pretese di un artista come Mordillo non sono mai state inferiori, almeno nell’idea che animava i suoi colori.
Portarci in un altrove fantastico, però con gli strumenti che conoscevamo perfettamente: un pallone da calcio, una pallina da tennis, una pallina da golf.
E ancora grazie a tutti i sentimentaloni che ci hanno permesso di parlare di vita attraverso quel visionario di Mordillo.