Iniziamo la pubblicazione a puntate di una delle principali opere letterarie di Alessandro Manzoni: "Storia della Colonna Infame", pubblicata come appendice nell'ultima edizione, quella definitiva, dei Promessi Sposi.E' il racconto, commentato, di un avvenimento vero, accaduto nel 1630 ma - purtroppo - mai realmente concluso. Sette capitoli, più un'introduzione. Perché dico: mai realmente conclusa? Perché assomiglia maledettamente a tante storie di malagiustizia di oggi. La trama, riassunta in due righe, è questa: alcuni testimoni accusano un signore di avere sparso sui muri degli unguenti che diffondevano la peste. Questo signore viene arrestato e torturato e infine indotto ad accusare un secondo signore, un barbiere. I due vengono condannati a morte e prima al supplizio. Naturalmente sono innocenti, anche perché gli untori (cioè dei presunti mascalzoni che diffondevano la peste ungendo i muri) non esistono, non sono esistiti mai.Le testimonianze che hanno inchiodato i due poveretti, assomigliano tremendamente alle deposizioni dei pentiti moderni. O alle famose intercettazioni per sentito dire. La tortura, usata per estorcere confessioni assurde, assomiglia invece al carcere preventivo e all'uso che se ne fa oggi come strumento di indagine. La smania dei giudici del seicento di assecondare le credenze popolari sembra uguale alle smanie che oggi hanno i giudici di soddisfare lo spettacolo di massa.E Alessandro Manzoni, quando scriveva la sua furia per queste ignominie, era isolato e sbeffeggiato dalle classi dominanti dell'epoca, come succede oggi a chiunque voglia esprimere un punto di vista garantista.Untori, roba del seicento? E allora - chiedo - il processo agli scienziati che non seppero prevedere il terremoto dell'Aquila? E quello alla scienziata - Ilaria Capua - accusata di aver diffuso il morbo dell'aviaria per arricchirsi?"Storia della Colonna infame", ci è sembrato - più che una vecchia opera di letteratura - una riflessione, pacata e attualissima, sulla giustizia di oggi. Per questo vi consigliamo di leggerla.