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Anora è immerso in quest’epoca veloce, che ne accelera snodi narrativi e linguaggio. È un film pensato e interpretato da giovani, che fonda il suo successo anche su un’apparente originalità di situazioni. Appena oltre la superficie, emergono schemi collaudati, e parte della carica eversiva del film si disperde nel vento di Brighton Beach.
Lo slang newyorchese connota Anora “Ani” Micheeva, bellissima escort di Brooklyn di origine uzbeka; il russo giovanilistico è la cifra del suo cliente preferito, il giovanissimo magnate con guardaspalle armeni Ivan “Vanja” Zacharov. Seguiamo Ani sospesi con lei nei privè di Brooklyn, in un mondo di specchi dove sesso, droga e alcol servono a non avere l’angoscia del domani. Solo che a scambiarsi la pelle può anche accadere che il cuore si metta di traverso, costruendo un gran castello nella fiaba sbagliata.
Mark Ėjdel'štejn e Mikey Madison per tutta la parte iniziale della fortunatissima pellicola di Sean Baker giocano con il miraggio dei loro vent’anni diversi, ma poi sprofondano in un vorticoso videogame esistenziale che non controllano più, cedendo al destino ogni attimo vissuto. Mikey vince da vixen il suo Oscar, tra lap dance e revenge movie alla Russ Meyer. Sean Baker, ragazzo di grandi capacità, guadagna il record di quattro statuine per miglior film, sceneggiatura originale, regia e montaggio. Senza contare premi della critica, Bafta e Palma d’Oro. Eppure resta la sensazione di un buon film raccontato come straordinario dimenticando di sottolinearne infantilismi, incompiutezze, ingenuità di scrittura. Oltre l’orizzonte del finale, la finestra aperta su un’altra e più suggestiva storia, più introspettiva.
Anora narra dunque di mondi destinati a non appartenersi perché privi di ogni ponte affettivo, se chi ha bisogno d’amore lo chiede a chi è incapace di darlo. Ma nel mare agitato da solitudine e eccessi da tempo, rischiamo di annegare anche noi, aggrappati a potere e denaro.
Il punto di vista della sex worker ribelle racconta bene il baratro creato da una società che mercifica gli esseri umani, ma la prospettiva del Sogno Americano visto da Est scelta da Baker risente di una certa ripetitività che ne mina il ritmo. Mancano affondi veri sull’ipocrisia privata dei nuovi ricchi, e una vera analisi sul dilagare di fortune tanto enormi quanto facili a dissolversi.
I genitori di Ivan sono due comparse, il suo padrino è un buon motore della storia, ma perché non scrutare le emozioni e la dignità della guardia del corpo pentita, piuttosto che farne una figurina rara da spostare dove più conviene?
Anora lascia in eredità l’Igor’ di Jurij Borisov, primo russo nominato all’Oscar dal 1977, capace di dare voce ai silenzi, e una protagonista convincente, ammaliante e candida il giusto, vendicatrice di tutte le ragazze finite tra i frantumi dal loro stesso sogno, che batte in fascino l’estroso ma acerbo Vanja, confuso tra gioco, amore, morte.
Sean Baker usa la tecnologia con discrezione, tra storia e costruzione visiva, dando alla pellicola carattere e colori propri. Girato in pellicola e in I-Phone, raggiunge grande eleganza formale, nelle riprese voyeuristiche del night come negli agorafobici interni della villa. Non sappiamo se Anora sia il miglior film per dare un messaggio di libertà a quante scelgano (?!) di vivere del loro corpo. Se resterà nell’immaginario avrà avuto ragione l’Academy. A parità di Oscar, crediamo che la Giulietta Masina, speranzosa e amara, tradita e resiliente, de Le notti di Cabiria indichi ancora la strada da seguire, giacché tra i corpi esibiti e le parole affilate dei night di Brooklyn manca quel che sui marciapiedi della Ostia felliniana di fine anni Cinquanta ancora esisteva: l’anima.