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Ci sono voluti dieci anni, «ma Stefano ora può riposare in pace», dice sua sorella Ilaria dopo la lettura della sentenza. Un carabiniere, visibilmente commosso, le prende la mano e la bacia: «l'ho fatto perché finalmente dopo tutti questi anni è stata fatta giustizia», sussurra il militare mentre accompagna i genitori di Stefano, con le lacrime agli occhi, fuori dal palazzone di Rebibbia.
«Stefano è stato ucciso - continua Ilaria -, questo lo sapevamo e lo ripetiamo da 10 anni. Forse i miei genitori potranno vivere più sereni. Abbiamo mantenuto la promessa fatta a Stefano». Rita, sua madre, ha lo sguardo stanco. «Un po’ di sollievo dopo 10 anni di dolore e di processi non veri», dice abbracciando il marito.
Giovanni, che al suo fianco a stento trattiene le lacrime. Rincorre il pm Giovanni Musarò per stringergli la mano prima che lasci l’aula bunker, anche lui stremato.
«Volevo ringraziarla», afferma grato. «Questa sentenza parla chiaro a tutti aggiunge -. Non vogliamo un colpevole ma i colpevoli e finalmente li abbiamo». Fabio Anselmo, legale della famiglia e compagno di Ilaria, non ha dubbi: «era una verità talmente evidente che è stata negata per troppo tempo.
Stefano è morto per le percosse subite». Ilaria pensa al carabiniere Riccardo Casamassima, che grazie alle sue rivelazioni ha aperto il processo. «Il nostro pensiero va a lui e alla moglie Maria Rosati, per tutto quello che stanno passando», sottolinea. Stefano non è caduto dalle scale, non ha avuto le convulsioni. Era un relitto di 37 chili, con la mandibola rotta e il corpo livido.
Ad esultare è anche Francesco Tedesco, il carabiniere che ha fatto i nomi dei suoi colleghi.
«La corte gli ha creduto: è stato un percorso partito con aspettative di legalità e finito con la realizzazione di queste aspettative», dicono i suoi legali, gli avvocati Eugenio Pini e Francesco Petrelli.
Ma le difese promettono battaglia: i due carabinieri, giurano, sono estranei alla morte e faranno ricorso in appello. «Non ci fu pestaggio dice Maria Lampitella, difensore del carabiniere Raffaele D’Alessandro -. È una condanna ingiusta». Così come per Giosuè Naso, legale del maresciallo Roberto Mandolini. «Se non è escluso che sia morto per colpa dei medici come si può concepire una morte anche per omicidio preterintenzionale?».