Come trasformare una messa funebre in una gioiosa macchina dei sogni, come passare improvvisamente dalla rassegnazione alla speranza. Le dimissioni di Joe Biden e l’entrata in scena di Kamala Harris hanno ribaltato l’intera narrazione della campagna elettorale democratica che fin qui era stata un’agonia, una lenta discesa all’inferno, un appuntamento con la morte, ovvero con altri quattro anni di trumpismo trionfante.

Basta osservare il clima da stadio che si respira alla convention di Chicago, le ondate di applausi, le urla, l’entusiasmo che accompagna la sfida di Kamala Harris e poi le donazioni milionarie che arrivano a flusso continuo e i sondaggi che la danno in testa negli Stati chiave. Speranza, per l’appunto, hope. E nella scenica passerella di personalità che si alternano sul palco in attesa dell’intervento della candidata dem alla Casa Bianca previsto per stanotte, nessuno meglio dei coniugi Obama, la coppia d’oro, poteva incarnare quella parola così americana in una dissolvenza di destini e di slogan, da yes we can! A yes she can!

«Siamo pronti per Kamala Harris. È qualcuno che ha passato l’intera vita a lottare per le persone che hanno bisogno di una voce. Se tutti facciamo la nostra parte, se lavoreremo come mai fatto prima, la eleggeremo prossima presidente degli Stati Uniti, mettiamoci al lavoro», esorta il primo presidente afroamericano nella storia degli Usa, accolto da un’ovazione. Lui che aveva cominciato proprio da lì, da Chicago e che riappare da nume tutelare, da padre nobile ma anche da proprietario di un format vincente pronto a imprimere l’upgrade alla signora Harris, versione 2.0 del suo originario e vincente sogno politico.

I decibel schizzano ancora più in alto quando viene il turno di Michelle Obama, la first lady più popolare di sempre, popolare al punto che in molti, nelle scorse settimane, avevano invocato il suo nome per sostituire Biden, una suggestione giornalistica che incontrava però i desideri dell’elettorato democratico. «Un’outsider politica dalla straordinaria influenza che ha una visione panoramica di quello che significa essere un’afroamericana alla Casa Bianca», ha scritto di lei il Washington Post.

Non parlava in pubblico da cinque anni e le sue parole hanno subito toccato le corde delle emozioni con il ricordo della madre, scomparsa il mese scorso: «Non sapevo se sarei riuscita a essere qui con voi, ma ho scelto di esserci per senso del dovere, per onorare la sua memoria, e per ricordare a tutti noi che non dobbiamo sprecare il sacrificio che le persone più grandi di noi hanno fatto per darci un futuro migliore».

Poi arriva l’endorsemnet per Kamala e il suo vice Walz, presentati con grande senso del racconto: «Dobbiamo fare di tutto per farli eleggere. Lei e Tim ci guideranno con sensibilità e grazia. Ma anche loro sono esseri umani. Non sono perfetti. E come tutti noi, faranno degli errori. Per fortuna, come andrà non dipende soltanto da loro. Dipenderà da tutti noi, dobbiamo essere la soluzione che cerchiamo».

Michelle si congeda lanciando una bordata a The Donald: «La sua visione del mondo è così limitata che si sente minacciato dall’esistenza di persone come noi che lavorano sodo, che hanno un’istruzione, che hanno successo e che sono anche nere. La sua visione del mondo è così limitata che si sente minacciato dall’esistenza di persone che lavorano sodo, che hanno un’istruzione, che hanno successo e che sono anche nere. Chi dirà a Donald Trump che il lavoro che vuole potrebbe essere un altro di quei “lavori da neri”?».

La celebrazione degli Obama è senz’altro imbevuta di retorica, di ottimismo posticcio, di epica hollywoodiana, una sfrontatezza che poco appartiene al più paludato stile “europeo”, ma è il gioco della convention, uno spettacolo luccicante dove la forma dei sogni conta più della sostanza delle cose e degli stessi programmi, dove l’ottimismo ti aiuta a scalare le montagne e a dare corpo all’impossibile.

A misurare la nuova ventata di entusiasmo che accompagna la campagna elettorale, le cifre della raccolta fondi di Harris la quale nelle prime tre settimane di agosto ha dichiarato alla Commissione di aver raccolto 204 milioni di dollari, quasi quattro volte di più di quelli ottenuti dal principale gruppo di raccolta fondi di Trump.

Dopo il tributo a Joe Biden della prima giornata, la Convention di Chicago si è concentrata sulla figura di Harris, celebrata in molti degli interventi. In particolare, quello del marito, Doug Emhoff. “Kamala è una guerriera gioiosa. Sta facendo per il suo Paese ciò che ha sempre fatto per le persone che ama. La sua passione sarà di beneficio a tutti noi quando sarà il nostro presidente”, ha detto il second gentleman. “Kamala è pronta per guidare il Paese e sarà un grande presidente di cui saremo fieri”.