Polemica nella polemica. Mentre si attende la decisione del gip di Venezia sull’opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dalla procura nei confronti di Letizia Ruggeri, la pm del caso Yara Gambirasio, la vicenda rimbalza fino al Csm. Dove straordinariamente, stando a quanto dichiarato dal laico in quota Forza Italia Enrico Aimi, nessuno era informato che ci fosse un’indagine per frode processuale e depistaggio a carico della magistrata che ha fatto condannare all’ergastolo Massimo Bossetti.

Il clamore mediatico suscitato dalla docuserie andata in onda su Netflix ha dunque riportato la vicenda sulle prime pagine, rendendo nota al grande pubblico l’udienza celebrata ieri pomeriggio a Venezia. «Tra i tanti punti interrogativi sollevati anche dalla recente serie Netflix ora se ne aggiunge un altro: al Csm non è mai stata comunicata l’apertura di tale procedimento a carico del magistrato, cosa che, invece, per dettato normativo, dovrebbe contestualmente avvenire - ha evidenziato Aimi -. Un fatto tanto curioso quanto inspiegabile che finisce per alimentare altre perplessità», ha fatto sapere con una nota. «Un errore, una svista, una dimenticanza? Fatto sta che al Csm, da accertamenti effettuati in prima commissione - prosegue il laico -, non c’è traccia di alcuna comunicazione relativa al predetto procedimento penale. Ritengo pertanto doveroso che l’organo di governo autonomo della magistratura ne sia portato a conoscenza in modo da consentire, nell’eventualità, l’acquisizione degli atti processuali ostensibili per poter svolgere ogni più opportuna valutazione. Per questo ho provveduto a formalizzare al Comitato di Presidenza una richiesta urgente di apertura di una pratica finalizzata a chiedere conferma alla procura della Repubblica di Venezia di ciò che tutti, meno il Csm, sanno: l’esistenza di un procedimento penale a carico della dottoressa Letizia Ruggeri. Vista la delicatezza della vicenda e il clamore suscitato, ci saremmo attesi, almeno nei confronti del Consiglio superiore, il rispetto di quanto previsto dalla circolare che disciplina l’obbligo d’informativa», ha concluso Aimi. Probabilmente la ragione sta nel fatto che per la pm era stata chiesta l’archiviazione, motivo per cui non ci sarebbe stato l’obbligo, allo stato, di informare il Csm.

Tornando al processo, la difesa di Ruggeri, nelle scorse udienze, aveva posto una questione di legittimità: gli avvocati avevano infatti presentato una memoria per chiedere al gip Alberto Scaramuzza di astenersi, essendo lo stesso giudice che si era già espresso sollecitando approfondimenti sulla pm. Il rischio, secondo la difesa, era quello di un “pregiudizio” nei confronti di Ruggeri. Tale richiesta non trova però riscontri nel codice: il giudice può astenersi per scelta o essere ricusato. Da qui l’eccezione di costituzionalità, alla quale il pubblico ministero si è opposto. In aula, ieri, la difesa di Ruggeri ha ribadito il comportamento «ineccepibile» della pm, che non avrebbe avuto nessun motivo per distruggere i campioni, essendo «sicura del loro risultato». Campioni, ha aggiunto, che non sarebbero nemmeno stati nascosti.

Argomenti respinti da Claudio Salvagni, legale di Bossetti, secondo cui quei campioni di dna, ancora sotto sequestro, «sono stati spostati su ordine del pm, dalla temperatura di meno 80 gradi a temperatura ambiente, con il rischio concreto che si degradassero. E in quanto beni sotto sequestro avevano ancora una finalità probatoria. Spostare i reperti ha comportato la distruzione di una prova». Inoltre, l’articolo 262 del codice di procedura penale citato nella richiesta di archiviazione come prova della facoltà della pm di spostare quelle prove non dimostrerebbe nulla, secondo Salvagni. Anzi, spiega, a leggerlo si comprende l’esatto contrario. Ovvero che il pm avrebbe dovuto aspettare il provvedimento del giudice, ha evidenziato il legale. Senza contare che l’esistenza di quei reperti è stata a lungo messa in dubbio: «Le sentenze dicono che non esistevano più: lo scrive la Cassazione. Ma se i giudici scrivono che non esistono e invece esistono, è evidente che qualcuno ne ha nascosto l’esistenza. Anche questo mi sembra totalmente evidente», ha spiegato il legale. Il giudice, ora, si è riservato la decisione.

Il nome di Ruggeri era già stato fatto al Csm, quando, nel 2022, la magistrata era finita sotto procedimento disciplinare per un’altra docuserie, quella trasmessa da Sky e intitolata “Ignoto1 – Yara, Dna di una indagine”. Protagonista proprio la pm di Bergamo, che davanti alle telecamere aveva raccontato le indagini mentre era ancora in corso il processo, con tanto di interviste sui luoghi del delitto e racconti relativi alla sua vita privata. La scelta fece storcere il muso ai vertici degli uffici giudiziari lombardi e al Csm venne aperto un fascicolo per violazione del dovere di riservatezza.

Il rischio, secondo i membri di Palazzo Bachelet, era che la sua comparsata televisiva potesse mettere in discussione, nello spettatore, la sua indipendenza e imparzialità, utilizzando la tv per fare un processo mediatico. Il disciplinare si chiuse però con un’assoluzione. E non avrebbe retto nemmeno l’accusa di aver violato il codice etico delle toghe - che vieta ai magistrati di parlare sui media di processi in corso -, così come quella di non aver chiesto l’autorizzazione al procuratore, regola non prevista, all’epoca, dal progetto organizzativo della procura.

La questione venne però riproposta in sede di valutazione di professionalità: Ruggeri, in quell’occasione, aveva spiegato le sue azioni giustificandole con la necessità di «riequilibrare l’aggressiva campagna di stampa, agli occhi della pubblica opinione che stava veicolando notizie false e diffamatorie». Il plenum, alla fine, le aveva dato ragione, non riscontrando nei suoi comportamenti un «eccessivo protagonismo o scarsa moderazione». E anzi elogiando la docuserie, il cui fine era puramente «scientifico».