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«Siamo arrivati al punto fondamentale del percorso di unione della magistratura progressista», annuncia al Dubbio Cristina Ornano, giudice presso il Tribunale di Cagliari e da un mese segretario generale di Area. E ancora: «Area è già punto di riferimento della magistratura progressista. Siamo formazione unitaria nel circuito dell’autogoverno, dal Csm ai Consigli giudiziari, e nella politica associativa, nel Cdc dell’Anm e nelle Giunte distrettuali».
Area si candida ad essere la “casa comune“ per le toghe progressiste. Ci spiega questo progetto?
Area è già punto di riferimento della magistratura progressista. Siamo formazione unitaria nel circuito dell’autogoverno, dal Csm ai Consigli giudiziari, e nella politica associativa, nel Cdc dell’Anm e nelle Giunte distrettuali. L’organo dirigente, il coordinamento ed il segretario, è legittimato non più dai gruppi fondatori, Magistratura democratica e Movimento per la Giustizia- Art. 3, ma dai suoi aderenti attraverso l’elezione diretta. Siamo però ora allo snodo di un percorso: dall’organizzazione interna all’elaborazione politica che consolidi Area come soggetto unitario, democratico e pluralista, nel quale la vasta platea della magistratura progressista, consapevole del ruolo, possa riconoscersi su un comune patrimonio di idee e di valori. L’identità politica di Area dovrà essere visibile dentro la magistratura e nella società. A maggio, a Napoli, celebreremo il nostro primo congresso.
Il rapporto tra Area ed Md è stato spesso conflittuale. Anche al Csm i consiglieri delle due correnti si sono trovati talvolta in disaccordo. E’ ipotizzabile una loro fusione?
Non condivido il primo punto. Nella realtà sono più le cose che uniscono rispetto a quelle che dividono. La nostra rappresentanza in Consiglio è stata eletta attraverso un sistema aperto di primarie. Tra i consiglieri possono esservi sensibilità differenti su alcune questioni, ma ciò attiene alle scelte del singolo ed alla natura plurale del gruppo. Guardi, Area non è solo un’esperienza cui Md e Movimenti hanno dato vita, ma è un soggetto politico in continuità rispetto ai gruppi fondatori che vuole coinvolgere una platea di magistrati più ampia rispetto a quella tradizionale. I Movimenti hanno deliberato lo scioglimento e la confluenza in Area. Md al momento non contempla la fusione con Area ma prevede la prosecuzione della propria esperienza come soggetto politico autonomo. Tuttavia, come ribadito nell’ultimo congresso, intende attuare i propri obiettivi anche attraverso l’azione di Area: non conflittualità ma complementarietà. Su qualche tema potrebbero esserci differenze. Penso al referendum sulla riforma costituzionale nella quale solo Md si è schierata per il No.
Siete moto attenti ai temi ideologici. La “destra giudiziaria”, rappresentata da MI e da A& I, vi accusa di non impegnarvi su argo- menti che interessano i magistrati: le ferie o i carichi esigibili. E’ vero?
Siamo sicuri che ai magistrati interessino soltanto le ferie ed i carichi esigibili? Questo lo sostiene chi strumentalizza il disagio – che è reale e diffuso – dei magistrati rispetto a difficili condizioni di lavoro, per pure ragioni elettoralistiche, senza poi dare le risposte promesse, come dimostra la vicenda dei carichi esigibili. Attendiamo che dallo slogan si passi ad una proposta praticabile, che, finora, non c’è stata. I magistrati, la maggior parte, rivendicano condizioni di lavoro sostenibili per rendere al meglio il servizio cui sono chiamati: un servizio che non sia attento solo ai numeri ma alla qualità e ai diritti. Area, senza demagogia, è aperta alla battaglia per la tutela dell’autonomia e indipendenza della magistratura, parte della quale è anche la tutela sindacale. A differenza dei gruppi da lei citati, Area non pensa che l’azione della magistratura associata debba esaurirsi in una difesa sterilmente corporativa. Sul tema ferie e responsabilità civile abbiamo espresso il dissenso perché penalizzanti e pregiudizievoli per l’efficienza della macchina giudiziaria, come ben sanno gli avvocati.
Chi entra in magistratura ha circa 35 anni, se non di più. Non proprio “giudici ragazzini”. Per fare un confronto, in Belgio, il presidente del Tribunale di Anversa, una città grande come Torino, quando è stato nominato aveva 45 anni. Chi ha ragione, noi o gli altri?
Non c’è dubbio, hanno ragione gli altri. L’età media di accesso in magistratura oggi è tra i 32 ed i 35 anni. L’ingresso avviene con concorso di secondo grado, quando i nostri laureati sono stati logorati da anni di scuole di specializzazione, stages, corsi di preparazione, molti anche costosi e non sempre utili. Questo ha un doppio effetto perverso: usura i ragazzi, ponendo a dura prova il loro entusiasmo e la loro motivazione, e crea una selezione basata sul censo, perché non tutti possono permettersi studi costosi ed una attesa di lavoro prolungata. Ciò determina diseguaglianza e perdita del punto di forza della magistratura, ossia essere espressione di una forte mobilità sociale. E poi chi entra oggi in magistratura, con il pensionamento a 70 anni, rischia di non maturare i requisiti pensionistici minimi. Bisogna essere chiari: stiamo facendo del male ai ragazzi e danneggiamo il Paese! Vogliamo tornare al concorso di primo grado.
Il Consiglio d’Europa ha invitato l’Italia a “limitare la partecipazione dei giudici in politica”. Area ha avuto iscritti eletti in parlamento o nelle amministrazioni locali e nominati in incarichi politici. Cosa farete?
Il problema esiste, è delicato e riguarda tutta la magistratura, compresi quelli che dicono di combattere le correnti e poi assumono incarichi conferiti dalla politica. Il tema merita un approccio articolato, ci sono situazioni diverse. Limitando il discorso agli eletti o agli incarichi di nomina politica, ci sono aspetti di criticità sotto il profilo dell’imparzialità del magistrato che va garantita anche nella sua apparenza. E’ necessario regolamentare le condizioni di accesso e del rientro in magistratura. Su questo aspetto c’è la duplice esigenza di verificare la professionalità e di garantire l’apparenza dell’imparzialità che potrebbe essere stata compromessa dal rapporto del magistrato con la politica che lo ha scelto o fatto eleggere. I consiglieri di Area hanno sostenuto la risoluzione del Csm per un urgente intervento del legislatore che regoli il rientro dopo l’assunzione di incarichi politici, anche con la possibilità di essere assegnati ad altri ruoli della PA. E’ favorevole alla separazione delle carriere? Con il divieto di passaggio tra i ruoli giudicanti e requirenti all’interno di uno stesso distretto si è realizzata quella separazione di funzioni che l’Avvocatura, con validi argomenti, reclamava. Il problema è un altro: nel quadro di una crescente spinta alla gerarchizzazione delle procure va assicurata l’effettiva indipendenza ed autonomia dell’organo inquirente per impedire che sia sottratto alla cultura della giurisdizione. Indipendenza, autonomia, imparzialità, sono le migliori garanzie per il corretto esercizio dell’azione penale.
I tribunali sono ingolfati di cause e i cittadini attendono anni per una sentenza. E’ un problema di personale o è necessaria una riforma del sistema?
Entrambi. La domanda di giustizia è molto cresciuta e, parallelamente, si è aggravata la carenza di risorse e di personale. Ciò ha aumentato i carichi di lavoro imponendo alti standard di produttività cui i magistrati ed il personale amministrativo si sono responsabilmente adeguati. L’UE, anche con il rapporto Cepej 2016, indica i magistrati italiani tra i più produttivi d’Europa. Dovrebbe dunque essere chiaro a tutti che il problema della giustizia, della sua inefficienza e lentezza, è strutturale. E’ compito della politica porvi mano. Diamo atto al ministro Orlando di alcuni segnali positivi, che, tuttavia, sono ancora troppo pochi e troppo timidi. Per anni abbiamo visto solo tagli. Occorre una inversione di tendenza: assicurare personale e risorse, indispensabili per garantire quantomeno i livelli attuali del servizio, e realizzare riforme di sistema, nell’organizzazione del lavoro, nel processo e nel diritto sostanziale. E’ indifferibile nel processo penale una riforma della prescrizione, almeno nel senso dell’interruzione dopo la sentenza di primo grado.
Le correnti sono centri di potere?
Non confondiamo il correntismo, assunto quale sinonimo di clientelismo, una pratica deteriore da combattere, con la politica associativa dei gruppi che assolvono un compito imprescindibile in ogni democrazia; sono luoghi di discussione e di elaborazione per definire la linea politica sui temi dell’ordinamento e dell’autogoverno. La crisi di autorevolezza dei gruppi e delle dirigenze che essi esprimono ed a cui assistiamo da almeno due decenni, rischia di lasciare campo libero a centri di potere incontrollati, basati sul carisma personale o sulla pratica del clientelismo più sfrontato. Bisogna recuperare la credibilità dei gruppi e delle loro dirigenze.