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L’operazione “mani pulite” iniziò esattamente 25 anni fa, il 17 febbraio del 1992, con l’arresto di Mario Chiesa, funzionario socialista milanese piuttosto ignoto, beccato con sette milioni di tangente in tasca. Anche se dall’arresto di Chiesa all’esplodere dello scandalo politico che travolse la prima repubblica passarono poi diversi mesi. In mezzo ci fu una campagna elettorale, la vittoria della Lega Nord, l’uccisione del big democristiano ( andreottiano) siciliano Salvo Lima, il terrificante attentato mortale a Giovanni Falcone, e infine l’elezione del nuovo presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Poi arrivò l’estate e in una caldissima giornata di fine giugno ci si preparava a dare notizia della nomina di Bettino Craxi a presidente del consiglio incaricato, e invece successe il finimondo. Nelle redazioni dei giornali arrivarono delle carte nelle quali si parlava del coinvolgimento diretto di Bettino Craxi in una storia di tangenti milanesi. Le carte - presumibilmente: molto presumibilmente – erano state inviate dalla stessa procura di Milano, dove – agli ordini del Procuratore Saverio Borrelli – si era costituito un pool di magistrati, incaricato esplicitamente di muovere l’assalto al quartier generale della politica, e in particolare all’asse Dc-Psi, e ancor più in particolare alla persona di Bettino Craxi. I nomi dei magistrati del pool sono i nomi più noti tra tutti i nomi dei magistrati del mondo: Di Pietro, D’Ambrosio, Colombo, Davigo.
La prima mossa fu quel dossier fatto giungere anonimamente alla redazioni. La notizia rimbalzò a Montecitorio e al Quirinale, e Scalfaro da un mese presidente della repubblica, decise di soprassedere alla nomina di Craxi. Fece qualcosa di più: avvertì Craxi che il suo nome era fuorigioco e che toccava a lui scegliere tra i suoi due delfini: Claudio Martelli o Giuliano Amato. Craxi scelse Amato, facendo infuriare Martelli ( che mai gliela perdonò) e il 28 giugno Amato fu incaricato.
È da quel momento che “mani pulite”, eliminato il nemico numero 1, inizia in grande stile. Il Psi viene travolto in pochi mesi. La destra Dc altrettanto. La sinistra Dc e il Pci vengono colpiti di striscio, ma escono quasi incolumi dal bombardamento.
I numeri dell’inchiesta “mani pulite” sono incerti. Ieri Repubblica par- lava di 4520 indagati e di 661 tra condannati e persone che accettarono di patteggiare ( i condannati veri e propri furono 316, cioè circa il 7 per cento degli indagati). In realtà questi numeri si riferiscono solo alla Procura di Milano, che fu il motore di “mani pulite”, ma le inchieste, e gli avvisi di garanzia, e gli arresti, si estesero a tutt’Italia. I numeri finali sono incerti: più o meno gli indagati furono 25 mila, gli arrestati circa 4000, il numero delle condanne non si conosce ma comunque la media nazionale è simile a quella milanese: circa il 7 per cento.
Capite bene che 25 mila indagati è un numero enorme. Un pezzo gigantesco del ceto politico fu messo alla sbarra. E nel clima che si era creato, soprattutto per la partecipazione attiva della stampa e della televisione alle indagini, si era realizzata una situazione nella quale chiunque ricevesse un avviso di garanzia era costretto a dimettersi e a lasciare la politica. Di quelle circa 20 mila persone che furono costrette a lasciare la politica e poi risultarono innocenti ( o comunque non furono condannate) si e no una decina riuscì a rientrare nel giro. Gli altri furono messi fuori dal campo e basta.
Gli avvisi di garanzia arrivavano quasi sempre al momento giusto. A Craxi arrivò l’avviso nel dicembre del ‘ 92, dieci giorni prima di Natale, e fu un siluro che lo costrinse a lasciare la segretaria del partito. Claudio Martelli si mise in corsa per prendere il posto di Craxi, disse che voleva “salvare l’onore politico del Psi”, ma il 19 febbraio del 1993, mentre era in corso una riunione dell’assemblea nazionale del Psi all’hotel Ergife di Roma, e mentre Martelli si stava per candidare alla segretaria, arrivò l’avviso anche a lui. Lui era il ministro della Giustizia, era il leader politico che aveva promosso e protetto Falcone: non piaceva alla Procura di Milano, che se ne disfò in quattro e quattr’otto. Martelli, che era uno dei dieci uomini più potenti d’Italia, scomparve dalla scena in quell’esatto momento.
Naturalmente questo meccanismo da Santa Inquisizione non poteva funzionare se la magistratura fosse stata sola a guidare l’operazione. Ma la magistratura non era sola: con lei si era schierata praticamente tutta la stampa italiana. Quella di destra, quella di sinistra, quella di centro, quella politica e quella scandalistica. Guidata dai giornali della Fiat, dal Corriere della Sera, ma anche dai giornali più vicini al Pci come la Repubblica e naturalmente anche l’Unità. La magistratura in un primo tempo aveva spaventato anche gli editori dei giornali, perché aveva colpito duro i vertici della Fiat e aveva persino, per qualche ora, messo in arresto De Benedetti. Ma l’imprenditoria si arrese quasi subito e accettò di collaborare con la magistratura e di mettere a disposizione i propri giornali, in cambio dell’impunità. Così fu. E’ ancora così.
Dicevamo dei 25.000 procedimenti avviati e conclusi con un po’ più di mille condanne. Possiamo dire che dal punto di vista giudiziario “mani pulite” fu un fallimento. Fu però un successo senza precedenti dal punto di vista politico. Il pool di Milano riuscì a portare a termine la più clamorosa riforma istituzionale mai realizzata nell’Italia repubblicana. Il sistema democratico fondato sui partiti - sulle loro strutture, sulle loro idee, sui loro meccanismi popolari – fu raso al suolo in poco più di un anno. I leader di quel sistema politico scacciati e messi in fuga o alla berlina. I rapporti tra politica e magistratura rovesciati. Diciamo che la prima repubblica fu cancellata.
Quando si dice prima repubblica spesso si intende un sistema politico partitocratico e corrotto, che stava rovinando il paese. Non è esatto. La prima repubblica era quella costruita sui valori della lotta partigiana e sulle idee di grandi tradizioni politiche come quelle del cristianesimo sociale, del comunismo, del socialismo e del liberalismo. Immaginata e costruita da personaggi come De Gasperi, Einaudi, Croce, Togliatti, Nenni, Calamandrei, La Malfa. Sarebbe quella compagine che ricostruì l’Italia distrutta dal fascismo, la portò pienamente dentro un regime democratico, ne promosse lo sviluppo economico e sociale, la modernizzò attraverso grandiose riforme di tipo socialista o di tipo liberale. Non proprio una schifezza.
Se uno prova a fare un bilancio storico politico e sociale della prima repubblica e lo mette a confronto con un bilancio della seconda repubblica ( quella nata sulla spinta dell’inchiesta “mani pulite”) si mette a ridere.
La fine della prima repubblica pone fine al primato della politica. E dunque ridimensiona fortemente la portata della democrazia. Il potere si trasferisce. In particolare nelle mani dei potentati economici, che dettano le scelte di fondo. In parte nelle mani della magistratura, che da quel momento diventa largamente in grado di controllare il ceto politico e di determinarne la selezione e anche le scelte.
“Mani pulite fu un complotto”? No, io non lo credo. Però “mani pulite” riuscì perché perseguì un disegno politico. Che era duplice: “purificare” la società italiana e abolire i partiti. Il pool di Milano credeva sinceramente e con passione che le due cose coincidessero. La seconda parte di questo disegno è perfettamente riuscita. La prima no. E da quel momento la magistratura si convinse che il proprio compito non fosse quello di giudicare i colpevoli e gli innocenti, come dice la Costituzione, ma quello di assumere un ruolo di Guida Etica della società e dello Stato. E di garante della moralità.