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Come avevano annunciato la scorsa settimana i big dell’Unione europea hanno riconosciuto ieri mattina Juan Guaidò come legittimo presidente ad interim del Venezuela. Avevano lanciato un ultimatum a “l’altro presidente”, lo chavista Nicolas Maduro; avrebbe dovuto indire nuove elezioni presidenziali entro domenica ma, come era prevedibile, non è accaduto nulla di tutto questo.
Così, allo scadere dell’ultimatum Francia, Germania, Spagna, Regno Unito, Austria, Danimarca. Paesi Bassi, Svezia e Portogallo si sono uniti agli Stati Uniti e ad altre nazioni come il Canada il Brasile e l’Australia e hanno investito ufficialmente il giovane leader dell’opposizione.
Una posizione comune, o quasi, visto che un pezzo grosso come l’Italia non ha ancora sciolto il nodo a causa delle diverse vedute all’interno della maggioranza. Ma in verità l’europarlamento ha espresso una posizione granitica in tutti i suoi elementi tanto che il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, ha esortato tutti i 28 membri a riconoscere Guaidò. Oltre a Roma neanche la Grecia e l’Irlanda, pur chiedendo libere elezioni in Venezuela ritengono prematuro, sse non sbagliato il riconoscimento automatico di Guaidò. Il che ha impedito di poter sottoscrivere una dichiarazione congiunta dei 28. Prospettiva peraltro liquidata dall’Alta rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini che nel pomeriggio ha specificato come «non sia possibile avere una posizione unitaria di Bruxelles», poiché l’eventuale riconoscimento di Guaidò «è una decisione che riguarda stati nazionali» Allo stesso tempo e nonostante il pressing occidentale, al fianco di Maduro rimangono schierate nazioni di grande peso diplomatico come la Cina, la Turchia e soprattutto la Russia. Quest’ultima è la più ostile all’operazione Guaidò che ritiene orchestrata dal dipartimento di Stato americano e quindi «un’inaccettabile interferenza straniera negli affari interni del Venezuela».
Il ministro degli Esteri, Serghei Lavrov, ha attaccato anche l’iniziativa di mediazione lanciata da Bruxelles col Gruppo di contatto, creato con alcuni Paesi del Sud America, il Brasile di Bolsonaro in testa: non si può mediare a suon di «ultimatum», ha detto Lavrov per il quale l’Europa non è affatto un soggetto neutrale nella crisi venezuelana.
La Russia e Caracas sostengono da parte loro la proposta di Messico e Uruguay per una conferenza di dialogo in Venezuela da svolgere il 7 febbraio, quando è prevista anche la prima riunione del Gruppo di contatto Ue. Maduro stesso ha sostenuto l’idea di un confronto tra America Latina e Ue nell’incontro del «Gruppo di Contatto» e ha chiesto un confronto «faccia a faccia» con Guaidò pur escludendo il ricorso alle urne.
In un’intervista rilasciata a Sky Tg24 il presidente venezuelano eletto ha rivelato di aver scritto al Papa, chiedendogli «aiuto nella strada del dialogo e della mediazione» ma soprattutto si è rivolto all’Italia con un appello dai toni molto accorati: «Non vi fate trascinare dalle pazzie di Donald Trump. Non vi fate trascinare dalle politiche estremiste e interventiste, che cercano un colpo di stato in Venezuela ordinato e pianificato. Come già si sa, da Washington, dalla Casa Bianca. L’Europa deve mantenere una posizione di equilibrio, di rispetto e di collaborazione, cioè aiutare la pace in Venezuela».
Sulla questione è intervenuto anche il Segretario dell’Onu Antonio Guterres, il quale ha fatto sapere che le Nazioni Unite non si uniranno al Gruppo di contatto: «La segreteria generale ha deciso di non prendere parte ad alcuno di questi gruppi in modo da dare credibilità alla nostra continua offerta di buoni uffici alle parti per essere in grado, su loro richiesta, di aiutarli a trovare una soluzione politica», si legge in un comunicato del Palazzo di vetro.
Intanto nel prossimo week end, sfruttando un ponte con la confinante Colombia, arriveranno i primi aiuti umanitari chiesti da Guaidò.
Se i militari schierati alla frontiera permetteranno l’ingresso di cibo e medicinali, secondo alcuni osservatori potrebbe essere il segnale di un appoggio delle forze armate al nuovo leader, mentre nell’entourage di Maduro sospettano invece che questo corridoio umanitario serva soprattutto a far entrare nel paese armi ed elementi paramilitari con lo scopo di compiere un Colpo di Stato che rovesci la sua presidenza.