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Aconfronto della crisi economica venezuelana attuale, quella greca del 2008 fu una sciocchezza. Non ci sono precedenti di una simile perdita di ricchezza in un Paese non in guerra.
Sono spaventosi i dati sulla perdita di ricchezza del Venezuela diffusi dal Fondo monetario internazionale, attendibili perché sostenuti da analisi reali e dettagliate dell’economia del Paese.
Negli ultimi sei anni è evaporata una ricchezza immensa, una delle più grandi d’America, sostenuta dalle infinite risorse ( non solo petrolio) del sottosuolo più ricco della Terra.
Un elemento fotografa il disastro: dal 2013 ad oggi è sparito il 65% del patrimonio privato cifra enorme in termini assoluti.
Si tratta del Paese con le riserve di petrolio e di gas più ricche del mondo se si considera anche i giacimenti di petrolio sporco, o petrolio pesante, più costoso da utilizzare, ma utilizzato da molto tempo, dalla multinazionali del greggio.
Un dettaglio di solito trascurato, ma fondamentale per avere un’idea dell’immensità del disastro, riguarda la ricchezza del sottosuolo venezuelano al di là del petrolio e del gas. È una anomalia planetaria, il sottosuolo venezuelano. La sua disponibilità di minerali preziosi non ha paragoni possibili nel resto del pianeta. Nemmeno l’Amazzonia brasiliana è così ricca. In una larga fascia Venezuela sud orientale - l’Arco dell’Orinoco c’è sottoterra una quantità e una varietà di materie preziose impossibili da trovare altrove. Minerali di ogni tipo. Basta scavare. Lì stazionano attualmente vari gruppi criminali, molti dei quali legati a bande interne delle Forze armate venezuelane, che gestiscono il contrabbando del materiale estratto dalle miniere clandestine. Oro soprattutto.
Il capitale privato ha fatto le valigie da un pezzo. Sono svanite le riserve di valuta, ma non è vero che sono finite perché è crollato il prezzo del petrolio. Il Venezuela ha finito le sue riserve prima, molto prima, che crollasse il prezzo del petrolio. Perché i soldi sono stati rubati tutti e portati all’estero.
Il Venezuela è completamente in mano ai militari. Loro controllano quel che rimane dell’apparato produttivo, a cominciare dall’industria pubblica del greggio, Pdvsa. Loro si occupano della distribuzione di quel che resta dei prodotti di consumo.
Per avere un’idea delle proporzioni della tragedia in corso, si può confrontare la crisi venezuelana con quella patita da Atene dal 2008 al 2013.
In Grecia, economia europea ma piccola, senza materie prime, in un Paese che non galleggia su un mare di oro nero a differenza del Venezuela, si perse in quei sei anni un quarto del prodotto interno lordo. In Venezuela dal 2014 al 2019 sono andati bruciati addirittura i due terzi della ricchezza. Di una ricchezza enormemente superiore.
A Caracas gli ospedali sono senza garze, senza siringhe, hanno black out continui con conseguenze immaginabili sulle urgenze. Le scuole ci sono, sono aperte. Ma gli insegnanti spariscono da un giorno all’altro in cerca di un lavoro meglio retribuito altrove. Tutti in fuga, chi può se ne va e chi non può è indaffarato a trovare nel labirinto quotidiano del mercato nero la via meno cara per l’accesso ai prodotti basici.
Non è possibile vivere pagando in moneta nazionale in Venezuela. C’è una dollarizzazione di fatto che consente di vivere solo a chi ha famiglie all’estero che mettono a disposizione un conto in dollari. Beni anche di prima necessità si possono comprare solo al mercato nero, dove la divisa di riferimento sono sempre e solo i dollari.
Chi vive lì racconta che le retate della polizia speciale continuano, silenziose. I piani anti- insurrezione affidati all’intelligence cubana pure.
La Ong locale “Foro penal” nel suo ultimo rapporto denuncia che i detenuti politici all’inizio del gennaio 2020 risultavano essere 388, 370 uomini e 18 donne, 270 civili e 118 militari.
Poi si moltiplicano le detenzioni arbitrarie, senza un ordine di un giudice, non avvenute in situazione di flagranza di reato. Amnesty internacional segnala ordini di scarcerazione deliberatamente ignorati oltre a condizioni di reclusioni inumane che c’erano anche prima dell’avvitarsi della crisi, solo che ora è impossibile monitorarle perché vengono molto spesso impedite anche le visite.