A seguito del pestaggio all’americana avvenuto in mondovisione ai danni di Zelensky nello studio ovale, definito da Trump un «grande momento di televisione» soprattutto per il pubblico russo, il presidente ucraino, definito dittatore dal suo omologo statunitense, non ha avuto altra scelta che scusarsi per le botte ricevute. Scuse non sufficienti a fermare gli Stati Uniti dal bloccare la condivisione dei dati d’intelligence con le forze armate di Kiev e interrompere gli aiuti militari.

La prima misura con tutta probabilità sta già sortendo i suoi effetti, numerosi sono stati gli attacchi russi negli ultimi giorni sia in territorio ucraino che nell’oblast di Kursk, al momento occupato dalle forze di Kiev, che dovrebbero ricevere rinforzi di truppe e droni per tenere la posizione, in un’ottica di scambio con territori ucraini conquistati dai russi. Nel clima di tensione crescente maturato dopo l’incontro di Washington si è inserito Musk, che con la sua consueta pacatezza, ha invocato l’uscita degli USA dalla Nato e minacciato l’Ucraina di disattivare il sistema Starlink definito dallo stesso: «Spina dorsale dell’esercito ucraino», provocando una comprensibile preoccupazione negli apparati difensivi di Kiev, prima di rimangiarsi tutto poche ore dopo.

Il ministro degli esteri russo Lavrov ha definito incoraggianti le recenti parole di Trump precisando che «È ancora troppo presto per trarre conclusioni di ampia portata, ma ciò che abbiamo sentito finora dai funzionari dell'amministrazione Trump è complessivamente incoraggiante. Lo stesso presidente degli Stati Uniti ha riconosciuto che l'espansione della Nato e i tentativi di coinvolgere l'Ucraina sono stati tra le cause principali del conflitto». L’unico effetto che sembra aver sortito la genuflessione coatta di Zelensky è stato l’organizzazione del vertice di Gedda, in programma per domani.

Oggi il presidente ucraino è volato in Arabia saudita per incontrare il principe ereditario Mohamed Bin Salman ma non parteciperà direttamente al vertice. Secondo fonti diplomatiche Kiev sarebbe pronta a chiedere una tregua parziale. Nel frattempo oltre il canale della Manica, il premier britannico Starmer avrebbe telefonato a Trump per aggiornarlo sulle iniziative diplomatiche intraprese da Londra, auspicando «un esito positivo» dei colloqui di Gedda. A guidare le due delegazioni ci saranno Andriy Yermak, capo del gabinetto del presidente ucraino e Marco Rubio, segretario di stato USA. Sul tavolo, oltre all’accordo sulle terre rare, c’è molto altro.

La Casa Bianca proverà probabilmente a convincere Zelensky a fare concessioni territoriali alla Russia e a preparare la strada verso le elezioni. La delegazione ucraina dal canto suo è presumibile che proverà a riottenere la condivisione dei dati d’intelligence e la riattivazione degli aiuti militari. Kiev potrebbe proporre un cessate il fuoco parziale per fermare gli attacchi con droni e missili e i combattimenti nel Mar Nero, sulla scia di quello proposto da Francia e Regno Unito nelle scorse settimane, rimane da vedere se gli Stati Uniti lo riterranno produttivo per i loro interessi.

Rubio si è mostrato ottimista e ha definito «promettente» la proposta di una parziale tregua senza però sbilanciarsi: «non sto dicendo che da solo sia sufficiente, ma è il tipo di concessioni di cui avremmo bisogno per porre fine al conflitto» specificando che «ovviamente sarà determinante ciò che accadrà domani». Rimane il fatto che sugli ucraini pende la spada di Damocle posta sopra le loro teste da Trump.

Tra i vari paletti messi dal presidente USA c’è la dimostrazione di disponibilità all’accordo, qualunque esso sia, da parte di Kiev, pena il totale disimpegno americano. Il Tycoon dopo aver timidamente minacciato delle sanzioni nei confronti della Russia negli scorsi giorni, ha aperto alla possibilità di riprendere a condividere i dati di intelligence con l’esercito ucraino e ostentato fiducia rispetto ai risultati che potrebbero derivare dal vertice dichiarando: «Faremo molti progressi». Resta da capire se il plurale comprende gli ucraini o i soli americani.