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Donatella suicidio Verona
«Tutti si sono dati da fare per Donatella. Quello che non funziona è il sistema dell’esecuzione penale nel nostro Paese. Dietro i tanti suicidi in carcere c’è una grande responsabilità della nostra classe politica». A parlare così al Dubbio è l’avvocato del foro di Verona Simone Bergamini, legale di Donatella Hodo, la ragazza di 27 anni che si è tolta la vita inalando del gas nel carcere veronese di Montorio qualche giorno fa.
Quando ha saputo che la sua assistita si era tolta la vita?
L’ho saputo lunedì mattina e ho chiamato subito la direttrice del carcere. Era molto commossa anche lei. Tutti in carcere conoscevano Donatella e avevano a cuore la sua situazione.
Quando l’ha vista l’ultima volta?
Il venerdì precedente insieme al medico del Sert con cui stavamo pensando a un percorso alternativo al carcere, un programma terapeutico diverso. Lei, infatti, alle spalle aveva una esperienza che non era andata bene. A marzo il magistrato di sorveglianza le aveva concesso la possibilità di andare in una comunità ma aveva avuto dei problemi ad ambientarsi, come capita spesso in questi casi. Diceva che non era adatta a lei. Quindi si era allontanata da lì per poi essere trasferita nuovamente in carcere.
Qual era la posizione giuridica della sua assistita?
La sua posizione giuridica era mista. Aveva delle condanne definitive per reati contro il patrimonio ( ricettazione e furti) sempre legati al problema della tossicodipendenza; e poi era in misura cautelare in carcere per un processo pendente per un furto degenerato in rapina. Eravamo riusciti, comunque, a coordinare il magistrato di sorveglianza e la Corte di Appello: entrambi avevano concesso gli arresti domiciliari presso la comunità.
La ragazza quanto tempo in totale aveva trascorso in carcere?
Io la assistevo da circa un anno. Quando si è tolta la vita aveva 27 anni ma è da quando ne aveva 21 che entrava e usciva dal carcere.
Quando ha saputo dei suicidio come ha pensato e provato?
La prima reazione è stata quella dello sgomento. Mai e poi mai avrei pensato che potesse accadere quello che poi tragicamente si è verificato. Io ho una certa esperienza del carcere. Faccio parte dell’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere Penali. Inoltre è da quindici anni che vado in carcere quasi tutti i giorni. Quando ho la sensazione che qualcosa non va – come avvenuto una settimana prima della morte di Donatella con un altro detenuto – faccio sempre la segnalazione al carcere, in modo che possano intervenire gli psicologi e tutte le altre professionalità con una certa esperienza per capire se quello che io ho avvertito possa avere un fondamento.
Nel caso di Donatella?
Io la vedevo almeno una volta a settimana. Pure gli operatori avevano incontri molto frequenti con lei. Credo nessuno abbia mai avuto la sensazione che potesse togliersi la vita. Anche perché la sua situazione stava evolvendo in una maniera abbastanza positiva. Se è vero che era rientrata in carcere, il direttore l’aveva subito segnalata per un progetto lavorativo in carcere che stava per partire a settembre. Si trattava del confezionamento di marmellate e sottaceti. Donatella aveva già svolto le ore di formazione, propedeutiche al nuovo lavoro. Inoltre, il Sert la assisteva costantemente, faceva colloqui con il fidanzato il quale aveva appena trovato una abitazione all’interno della quale si stava pensando di poter farle espiare la pena in misura alternativa. Il magistrato di sorveglianza, poi, ha sempre mostrato grande attenzione verso la situazione di Donatella, ma in generale nei confronti di tutti i detenuti. Quindi c’erano tutti i presupposti per un risvolto positivo, anche se non a brevissimo tempo.
Allora cos’è che non ha funzionato?
Probabilmente bisognerebbe investire in un personale maggiormente qualificato in grado di prevedere queste situazioni, di rintracciare queste forme di disagio sotterraneo. Se dall’inizio dell’anno ci sono stati così tanti suicidi in carcere, vuol dire che qualcosa obiettivamente non funziona.
A proposito del giudice di sorveglianza Semeraro: ha detto “Ho fallito”. Che ne pensa della sua lettera?
Va sempre in carcere, conosce i detenuti per nome, come dovrebbe fare qualsiasi magistrato di sorveglianza. Ha una grandissima esperienza in materia di sorveglianza e una profonda sensibilità umana verso tutti i condannati. Credo che ogni recluso vorrebbe avere il dottor Semeraro come giudice di sorveglianza. In merito al suo messaggio, posso dire che abbiamo fallito tutti.
In che senso?
Se una ragazza di 27 anni si toglie la vita in carcere significa che il sistema dell’esecuzione penale non funziona. Ovviamente la morte di Donatella è tragica ma occorre fare un passaggio successivo: capire perché è successo a lei e agli altri suicidi in carcere. Mi piacerebbe porre questa domanda alla nostra classe politica, visto che siamo anche in campagna elettorale.
Tra le varie riforme incompiute di questo governo c’è quella del carcere. Secondo Lei esiste anche una responsabilità politica dietro i tanti suicidi che affliggono i nostri istituti di pena?
Secondo me sì. Purtroppo il carcere non porta voti. Parlare di carcere non porta voti. Invece bisognerebbe investire sul carcere. Ai detenuti sono state fatte tante promesse mai mantenute. Le piccole riforme che sono state fatte avevano come premessa generale “a costo zero”. E inoltre non si comprende ancora, anche se lo dimostrano diversi studi, che scontare la pena in misura alternativa al carcere abbatte la recidiva.
Quindi possiamo riassumere che in questo caso non si può puntare il dito contro nessuno per quanto tragicamente avvenuto, se non in generale verso il sistema di esecuzione penale?
Sì, ha riassunto bene. Tutti si sono dati da fare con Donatella, è il sistema – ripeto – che non funziona. A tal proposito qualche giorno fa noi, come Unione Camere Penali, abbiamo chiesto un incontro con il capo del Dap, il dottor Carlo Renoldi. Auspico che avvenga quanto prima, perché il carcere ha bisogno del supporto e dell’impegno di tutti. Investire sulle carceri non è un investimento a fondo perduto ma un bene per la società che dovrà riaccogliere chi in passato ha sbagliato.