La parola da non pronunciarsi a palazzo Chigi, in questa vigilia di solennissimi funerali, è "vertice". Già l'ipotesi di un summit Usa-Ue sui dazi, in questo momento, non fa alcun piacere a Giorgia. Molto più grosso sarebbe però il guaio prodotto da un vertice sull'Ucraina, che però potrebbe rivelarsi impossibile evitare. Trump arriva a Roma annunciando l'intenzione di parlare, nei bilaterali che certamente ci saranno, esclusivamente di Ucraina. Ha fretta di chiudere e per chiudere ha bisogno di mettere Zelensky con le spalle al muro, costringendolo a cedere, e di fare il punto su chi e come si occuperà di garantire la sicurezza dell'Ucraina dopo un accordo che al momento sembra in realtà lontanissimo.

Il presidente americano parla di incontri, non di vertici. Anche solo un faccia a faccia con il presidente ucraino in questo momento sarebbe da prendersi con le pinze. La premier paventa una ripetizione della scazzotata dello studio ovale e non è che abbia proprio tutti i torti. In realtà anche l'ambasciata americana smentisce eventuali incontri tra l'americano e l'ucraino.

A forzare la mano chiedendo un summit con l'Europa e il Regno Unito potrebbe però essere Zelensky, che arriva a Roma sbandierando la formula della "pace giusta nel nome di Francesco". Il presidente ucraino per provare a resistere ha bisogno di uno schieramento plateale dell'Europa al proprio fianco anche sul punto in questa fase più nevralgico: l'impossibilità per Kiev di riconoscere l'annessione della Crimea. A maggior ragione di fronte a un Putin che per far capire che modello di "pace giusta" abbia in mente intensifica i bombardamenti e prende di mira Kiev.

Uno schieramento deciso dell'Europa contro l'annessione della Crimea significherebbe una contrapposizione frontale con Trump, che ha strapazzato per l'ennesima volta Zelensky proprio perché l'Ucraina intende tenere duro su quel fronte. Ieri Zelensky ha confermato e con parole al di là di ogni possibile dubbio: "Accettare l'annessione della Crimea sarebbe violare la nostra Costituzione. Facciamo tutto ciò che gli alleati ci chiedono ma questo è impossibile". Macron, sfidando il senso del ridicolo, prova a cavarsela glissando sulla questioncina: "Il problema non si pone ora". Equilibrismi imposti dalle circostanze.

In ogni caso le probabilità che il fossato tra Usa e Ue si allarghi in materia di Ucraina restano alte e per la premier italiana sarebbe un grosso problema. E' sempre stata a fianco dell'Ucraina, anche se ormai tiepidamente dopo anni furoreggianti. Non vuole rompere con l'Europa né passare per quinta colonna del tycoon. Ma ha anche condiviso una dichiarazione ufficiale, dopo l'incontro di Washington, in cui mette completamente nelle mani del presidente americano la gestione della crisi.

Pare che, per trarsi fuori dai guai, abbia anche considerato l'idea di un incontro a tre sul Colle, con il presidente ucraino e quello italiano. Date le posizioni di Mattarella sull'invasione russa sarebbe stato un modo sicuro per confermare l'immagine di alleata solida di Kiev (e di Bruxelles) senza rischiare frizioni con l'amico americano. Peccato che il Quirinale non intenda farsi tirare in ballo in questo modo e per ora almeno escluda ogni possibile meeting sul Colle.

In compenso il "bilaterale" fra Trump e Ursula von der Leyen non è affatto escluso. Al contrario, sia Washington che Bruxelles ci stanno attivamente lavorando. Neppure questo orizzonte è sgombro di nuvole per il capo del governo italiano. Un avvio di disgelo tra Trump e von der Leyen, che non si sono mai incontrati e neppure hanno mai parlato al telefono, avrebbe fatto a Giorgia molto piacere: quale prova migliore del successo della sua missione di pace negli Usa? Sarebbe stato gradito e auspicabile anche un comune impegno a organizzare in maggio quel vertice che oggi è impossibile per questioni logistiche, come il poco tempo che Trump passerà in Europa, ma anche politiche, come l'assenza di una linea comune della Ue. Però senza ulteriori dettagli.

Un incontro magari informale ma con tutti i crismi e peggio se con l'intera squadra dei vertici europei che si ritroverà intorno al feretro di Francesco andrebbe invece molto oltre senza passare per la mediazione di Giorgia. Magari sino al punto di fissare subito Bruxelles invece che Roma come sede del summit. Che Meloni sia sospettosa è noto. Ma stavolta il timore di una manovra per spingerla ai margini e sottrarle ogni protagonismo nel negoziato sui dazi non è probabilmente frutto di quella sospettosità.