Enlarge your America! A questo dunque pensava Donald Trump quando in campagna elettorale ha evocato l’età dell’oro, promettendo di restituire «grandezza» al suo Paese; non una questione di influenza e di prestigio e nemmeno di prosperità economica interna. Ma un affare di confini, come in una partita a Risiko.

Inizialmente pareva una boutade, una di quelle intemerate propagandistiche e smodate a cui il tycoon ci ha abituati nell’ultimo decennio, specie durante il suo primo pittoresco mandato. E invece, a due settimane dal suo trionfale ritorno alla Casa Bianca, il presidente eletto degli Stati Uniti sembra che faccia davvero sul serio, altro che isolazionismo: «Siamo pronti ad annettere la Groenlandia e Panama, non escludiamo l’opzione militare», ha tuonato nel corso di una conferenza stampa a Palm Beach, in Florida in cui a mostrato una cartina geografica degli Stati Uniti che, oltre alle due nazioni citate, include anche il Canada. Una provocazione alla Stranamore? Forse.

Sulla Groenlandia, già nel 2019 pensando di scimmiottare Thomas Jefferson che nel 1803 comprò la Louisiana dalla Francia o Andrew Johnson che acquistò l’Alaska dalla Russia nel 1867, Trump aveva parlato dell’immensa isola di ghiaccio come «un grande business immobiliare» evocando le preziose risorse minerarie di cui è ricco il sottosuolo e il possibile acquisto dalla Danimarca, parole che all’epoca suscitarono più ilarità che apprensione reale.

Molto più aggressive e preoccupanti quelle pronunciate a Palm Beach: «Non sappiamo nemmeno se la Danimarca abbia diritti legali sulla Groenlandia, ma anche se li ha, deve rinunciarvi, perché ne abbiamo bisogno per ragioni di sicurezza nazionale».

Martedì scorso aveva spedito in loco il figlio Donald jr accompagnato da Charlie Kirk, sulfureo fondatore dell’organizzazione MAGA Turning Point USA, dal prossimo capo di gabinetto presidenziale Sergio Gor e dal suo vice James Blair. I tre hanno incontrato dei fantomatici seguaci del presidente eletto con cui si sono scambiati pacche sulle spalle, selfie a volontà e video immediatamente diventati virali sulle principali piattaforme social.

Ancora più inquietante la questione del canale Panama. Trump ha ricordato il costo faraonico dell’opera realizzata dal genio militare statunitense nei primi anni del secolo scorso e inaugurata nel 1914, «oltre mille miliardi di dollari attuali», nonché «i 38mila operai morti di malaria» durante la costruzione del canale che fu restituito a Panama nel 1999 in seguito o a un accordo siglato da Jimmy Carter 22 anni prima. Il tycoon accusa le autorità panamensi di imporre «tariffe elevatissime e ridicole» per le imbarcazioni americane ma soprattutto gli ingenti investimenti di Pechino nello stretto da cui passa il 46 per cento del traffico commerciale navale tra l'Asia settentrionale e la costa orientale degli Stati Uniti: «Non abbiamo ceduto il canale per darlo in mano ai cinesi, hanno decisamente abusato».

Poi c’è il Canada, lo sterminato Canada che secondo Trump approfitterebbe dei miliardi che gli Stati Uniti spendono ogni anno per assicurarne la protezione: «Non abbiamo bisogno di importare nulla dal Canada, né del latte, né del legno e abbiamo tutto il diritto di non venire in soccorso alle loro difficoltà finanziarie». Discorso simile a quello rivolto agli alleati europei della Nato che Trump

Anche se non ha parlato apertamente di annessione come nel caso di Groenlandia e Panama ma soltanto di ritorsioni economiche, la scorsa settimana aveva definito «un semplice governatore» il premier dimissionario Justin Trudeau e «una linea artificiale» la frontiera tra i due Paesi. In cuor suo gli sterminati territori del nord dovrebbero costituire la cinquantunesima stella degli Stati Uniti: «Se fossimo uniti sarebbe una grande cosa per la nostra sicurezza nazionale». Nemmeno una parola sulla sovranità nazionale dei vicini.

L’ultima chicca nella folle conferenza stampa di Palm Beach riguarda il Golfo del Messico: «Cambieremo il suo nome in Golfo d'America, che è molto più bello e appropriato»