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Hour Hum, a Cambodian reporter at Radio Free Asia who spent 7 years in a Thai refugee camp before arriving in the United States, poses for a portrait in the podcast room, Tuesday, April 1, 2025, at the RFA office in Washington. (AP Photo/Rod Lamkey, Jr.)
La voce libera dei dissidenti asiatici negli Stati Uniti è a un passo dal silenzio, travolta dai tagli brutali dell’amministrazione Trump. Radio Free Asia (RFA), storica emittente con sede a Washington specializzata nel fornire notizie e approfondimenti sui Paesi che vivono sotto regimi autoritari e senza libertà di stampa, ha sospeso le trasmissioni in mandarino, tibetano e lao e salvo miracoli a fine aprile dovrà chiudere i battenti.
Nonostante il Congresso avesse già approvato il budget per il 2025, il 15 marzo l’erogazione dei fondi è stata sospesa senza preavviso, colpendo non anche Radio Free Europe e Voice of America. Un gesto motivato ufficialmente dalla volontà di ridurre la spesa federale ma che avrà conseguenze pesanti nella battaglia pro democrazia.
Fondata nel 1996, RFA ha trasmesso per anni in dieci lingue, tra cui mandarino, tibetano, uiguro, birmano e vietnamita. Il suo modello si fonda su una rete di giornalisti provenienti dalle stesse minoranze perseguitate nei loro Paesi d’origine e su notizie capaci di aggirare censure e barriere linguistiche per offrire una copertura che i media tradizionali non possono garantire.
Nei momenti chiave della recente storia asiatica, RFA è stata in prima linea in diverse occasioni: dai primi dubbi sul conteggio dei morti a Wuhan durante la apndemia di Covid-19, fino alle cronache sulla resistenza contro la giunta militare in Myanmar. In alcuni casi, è stata l’unica fonte di notizie attendibili, come quando rivelò la presenza di “stazioni di polizia” clandestine aperte dalla Cina in città straniere per sorvegliare dissidenti politici e membri della diaspora.
«Parlare la lingua, conoscere la cultura, avere una rete di contatti diretti: tutto questo faceva la differenza», racconta Tamara Bralo, responsabile della sicurezza dei giornalisti per RFA. che parla già al passato. «Era come fare giornalismo iper-locale nei luoghi dove il giornalismo locale è stato eliminato».
Una delle inchieste più importanti risale al 2017, quando rivelò, prima ancora dei grandi media internazionali, l’esistenza di una rete di campi di rieducazione politica nella regione cinese dello Xinjiang, dove centinaia di migliaia di uiguri e altre minoranze musulmane venivano rinchiusi senza processo. I giornalisti uiguri in esilio, grazie alla loro conoscenza della lingua e dei contatti in patria, riuscirono a documentare non solo le deportazioni di massa, ma anche le quote imposte alla polizia locale per "trasferire" fino al 40% degli abitanti in alcuni villaggi.
Quelle indagini avevano avuto un impatto diretto sulla politica americana: il senatore repubblicano Marco Rubio, oggi segretario di Stato, ne fece addirittura una bandiera personale. Nel 2021 promosse l’Uyghur Forced Labor Prevention Act, che vieta l’importazione di prodotti dallo Xinjiang sospettati di essere frutto di lavoro forzato, salvo prova contraria. Approdato alla corte di Donald Trump la sua passione la causa degli uiguri sembra svanita. «Molti colleghi si erano uniti a RFA per continuare a lottare per la libertà di espressione, diventata impossibile nei loro Paesi», racconta Jane Tang, giornalista investigativa dell’emittente. «È assurdo chiudere una voce del genere proprio ora, mentre si parla di competizione con la Cina».
Il taglio dei fondi ha colpito duramente la struttura: l’80% dei 400 giornalisti dipendenti è finito in cassa integrazione e il 90% dei collaboratori esterni – circa 500 tra corrispondenti e freelance – è stato licenziato. Il sito continua ad aggiornarsi saltuariamente, ma la programmazione è praticamente sospesa. La radio ha intrapreso un’azione legale contro l’amministrazione, nella speranza di salvare ciò che resta, ma il pessimismo regna sovrano.
Non è solo una questione di informazione ma anche di sicurezza personale. Per molti dei giornalisti stranieri assunti da RFA, l’impiego rappresenta la garanzia legale per restare negli Stati Uniti. La perdita del lavoro potrebbe tradursi in espulsione e, per molti di loro, nel rischio di finire in prigione. Il budget annuale di RFA si aggira intorno ai 60 milioni di dollari, una cifra modesta rispetto all’impatto globale della sua attività. Ma non abbastanza, evidentemente, per sfuggire alla logica dei tagli o agli interessi di chi, come Elon Musk – molto esposto sul mercato cinese – ha tutto da guadagnare dal silenzio.
Nel frattempo, una delle ultime voci libere per milioni di persone rischia di spegnersi nell’indifferenza generale.