PHOTO
Associated Press/LaPresse
Anche da Hamas e dalle altre fazioni palestinesi (Jihad islamica e Fronte popolare per la liberazione della Palestina) c’è stato finalmente il via libera, orale e scritto, all’accordo sulla tregua nella Striscia di Gaza. Riuniti a Doha con i negoziatori del Qatar, i leader del movimento islamista hanno sciolto gli ultimi nodi, in particolare sulle mappe che definiscono il ritiro delle forze di difesa israeliane. Se non ci saranno intoppi l’intesa sul cessate il fuoco verrà annunciata domani al Cairo e, dopo quasi cinquecento giorni di guerra e oltre 45mila vittime, gli abitanti di Gaza potranno tornare a una pseudo normalità.
Per quanto Benjamin Netanyahu evochi la melina diplomatica dei palestinesi e continui a ostentare diffidenza, il premier israeliano è perfettamente consapevole che l’ultimo scoglio per concretizzare la tregua e il rilascio degli ostaggi nelle mani di Hamas è rappresentato dall’ala destra del suo governo. Ossia dai ministri ultranazionalisti Itamar Ben-Gvir e Bezael Smotrich per i quali l’accordo di Doha costituisce «una resa totale» al nemico e che minacciano di abbandonare l’esecutivo.
Ancora oggi Smotrich ha impiegato parole durissime precisando che l’offensiva militare nella Striscia dovrebbe andare avanti fino all’annientamento di Hamas: «Ciò che mi sta di fronte è una sola cosa, che perseguo con timore reverenziale: come raggiungere tutti gli obiettivi della guerra. Una vittoria completa, la distruzione totale di Hamas, sia della sua ala militare che di quella civile. Non mi fermerò e non resterò in silenzio finché non avremo raggiunto questi obiettivi». Tuttavia Smotrich, nonostante i toni bellicosi, afferma di essere ancora «indeciso» lasciando aperta una porta; in tal senso sarà risolutiva la riunione di gabinetto di domani in cui Netanyahu si confronterà con i due ingombranti ministri per convincerli a non lasciare l’esecutivo che, senza il loro sostegno, non avrebbe più una maggioranza alla Knesset.
Secondo il New York Times, che ha ottenuto una copia del documento, i primi ostaggi israeliani (donne e minori) dovrebbero venire liberati nella giornata di domenica. Nella prima fase, che durerebbe 42 giorni, verrebbero riconsegnati complessivamente 33 ostaggi: tre il primo giorno, quattro il settimo, poi ancora tre il quattordicesimo, il ventunesimo, il ventottesimo e il trentacinquesimo giorno, e infine altri 14 nella restante ultima settimana. I restanti ostaggi verrebbero rilasciati in una fase successiva.
Resta ancora dai contorni incerti la gestione politica di Gaza. Il Segretario di Stato americano Antony Blinken in un discorso pronunciato all’Atlantic Council di Washington a provato a delineare la futura governance della Striscia, affermando il necessario ritorno dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) in coordinamento con le Nazioni Unite e i partner internazionali. Uno scenario accolto con favore, se non con malcelato entusiasmo dal premier dell’Anp Mohammad Mustafa.
Durante una visita in Norvegia (uno dei tre Paesi europei che assieme a Spagna e Irlanda hanno riconosciuto lo stato di Palestina) Mustafa ha ribadito che l’autorità nazionale palestinese è l’unico soggetto legittimo: «Mentre attendiamo il cessate il fuoco, è importante sottolineare che non sarà accettabile che a governare la Striscia di Gaza sarà un’entità diversa dalla leadership palestinese legittima e dal governo dello Stato di Palestina».
Il ritorno dell’Anp a Gaza dopo 17 anni di esilio coatto (dirigenti e militanti furono cacciati manu militari dalle milizie islamste nel 2007) sarebbe un fatto storico e allo stesso tempo pieno di incognite. Su tutto l’eventuale reazione di Hamas che non accetterebbe certo di farsi estromettere dagli storici rivali interni. Uno scenario che mitigherebbe i conflitti con Israele ma che allo stesso tempo riaprirebbe la faida tra le fazioni palestinesi.
Inoltre Tel Aviv si sta mostrando più che scettica di fronte a una simile prospettiva. Il ministro della Difesa Gideon Sàar, ospite della trasmissione di Rai1 Porta a Porta ribadisce l’intenzione di Israele di ritirarsi da Gaza, ma non reputa l’Anp in grado di governarla: «Hanno problemi nel controllare il proprio territorio in Samaria e Cisgiordania, figuriamoci se sono in grado di governare Gaza. Abbiamo bisogno di interlocutori affidabili che non abbiano a che fare con il terrorismo e che non incitino la popolazione contro Israele».
Per stabilire quali saranno gli assetti politici dell’enclave palestinese ci vorrà ancora un po’ di tempo, intanto fin da ieri sera nelle varie località della Striscia migliaia di persone sono scese nelle strade per festeggiare l’accordo di Doha e - si spera - la fine di un incubo durato un anno e tre mesi.