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Un vero e proprio calvario del quale al momento non si intravede la fine. È questa infatti la sorte che sta vivendo Nasrin Sotoudeh, l’avvocata e attivista per i diritti umani che ormai dal 2018 è costretta ad un continuo stillicidio tra carcerazioni e brevi periodi di libertà. Questa volta ha ottenuto un permesso di soli 3 giorni per uscire dal penitenziario di Qarchak, nei pressi della capitale Teheran, dove si trova rinchiusa in seguito ad una condanna per spionaggio e, secondo i giudici che l’hanno mandata in carcere, per un supposto «tentativo di rovesciare il sistema della Repubblica islamica». Come durante tutti questi anni di detenzione, il tramite con l’esterno e l’opinione pubblica internazionale è stato il marito Reza Khandan che combatte una battaglia per non far seppellire definitivamente la voce di Nasrin. È stato infatti lui a divulgare la notizia del breve soggiorno al di fuori della prigione attraverso twitter. Un messaggio rilanciato poi da Amnesty International che ha spiegato ancora una volta i motivi della carcerazione e ha lanciato un appello urgente per la sua liberazione definitiva. Nel 2019, dopo l’esito negativo del suo appello, Nasrin è stata condannata a 33 anni di carcere e a 148 frustate per un’unica colpa: aver difeso i diritti delle donne e la loro libertà di scelta, come quella di non voler indossare l’Hijab, in tradizionale velo che copre loro la testa. Per questo aveva pubblicamente difeso una donna che non aveva voluto piegarsi a quest’obbligo. Da qui la formulazione di 7 pesanti capi d’imputazione, dall’aver complottato contro la sicurezza nazionale alle minacce contro il sistema, istigazione alla corruzione e la prostituzione. Ma soprattutto essere comparsa senza velo in un’aula di tribunale.
Pesantissima anche la condizione della detenzione. L’avvocata infatti fu rinchiusa nel famigerato carcere di Evin, a Teheran ( già impiegato dalla polizia segreta dello Scià Reza Palevi), qui vengono mandati giornalisti iraniani e stranieri, blogger, attivisti, studenti, registi, scrittori. Chiunque abbia in qualche modo espresso la propria critica contro il regime degli Ayatollah. Nonostante Nasrin Sotoudeh avesse 20 giorni di tempo per presentare ricorso contro il verdetto di primo grado, rinunciò a questo diritto come atto di protesta nei confronti di un procedimento che ha giudicato come irregolare e persecutorio, con una decisione già presa a priori. La vicenda, fin dalle sue prime battute, suscitò indignazione internazionale e gli appelli per la liberazione si moltiplicarono. Si mosse anche la diplomazia internazionale ai massimi livelli, a partire dalla Francia. Il 10 aprile 2019 il presidente, Emmanuel Macron, ebbe un colloquio telefonico con il suo omologo iraniano Hassan Rohuani, durante il quale venne sollevato il caso e chiesta la scarcerazione della Sotoudeh. Lo stesso fece il Parlamento Europeo che già nel 2012 l’aveva insignita del premio Sakharov per le sue battaglie in favore dei diritti delle donne e contro la pena di morte. Tutti tentativi che si rivelarono comunque fallimentari, Nasrin infatti continuò a rimanere in carcere da dove però non rinunciò alle sue idee di libertà. Nel settembre dello scorso
Uanno infatti fu costretta a interrompere uno sciopero della fame iniziato quasi 50 giorni prima per protesta contro le condizioni dei prigionieri politici durante l’epidemia di coronavirus. Uno sforzo che incise profondamente sulla sua salute, tanto da farla ricoverare 5 giorni in ospedale a causa di un’insufficienza cardiaca. Anche in questo caso però la decisione delle autorità giudiziarie fu quella di riportarla in carcere, ma ancora una volta la sorpresa fu amara. Invece che a Evin, Sotoudeh venne trasferita nella prigione di Qarchak, una struttura per sole donne in una fabbrica di polli inutilizzata a sud di Teheran nota per i maltrattamenti sui prigionieri politici e le cattive condizioni igieniche. Sarebbe passato tutto sotto silenzio se non fosse stato ancora una volta per il marito Reza Khandan che riuscì a comunicare: «Tre settimane fa, dopo essere stata ricoverata in ospedale, ( Nasrin ndr.) è stata riportata in prigione prima di completare l’intero trattamento. Secondo gli esperti, avrebbe dovuto essere nuovamente trasferita in ospedale per un esame cardiaco urgente e angiografia, ma invece le autorità di Evin l’hanno trasferita nel carcere di Qarchak». La salute dell’avvocata iraniana poi peggiorò ulteriormente, perché oltre ai problemi cardiaci, alla debilitazione del corpo per malnutrizione si è aggiunta l’infezione da Covid- 19 contratto in cella. Per questo motivo lo scorso 8 novembre era stata rilasciata temporaneamente. I medici che l’hanno in cura avevano chiesto il prolungamento della libertà per cure appropriate, ma ancora una volta senza successo: Nasrin è stata costretta a rientrare in prigione fino alla scarcerazione attuale.