Quasi 45mila morti, migliaia di edifici distrutti, bombardamenti e battaglie, centinaia di migliaia di sfollati su uno sfondo lunare di macerie fumanti. L’inferno di Gaza è quello dei suoi abitanti, delle vittime civili confuse o sacrificate nella caccia spasmodica a Hamas, delle bombe che cadono dal cielo, della morte che spunta a ogni angolo di strada in un climax di lutti infiniti e di altrettante vendette.

Ma una parte di quel dramma vive anche nella mente dei carnefici, dei militari israeliani che hanno provocato o semplicemente hanno assistito al massacro quotidiano della popolazione palestinese. Nei reparti dell’Idf che sono dovuti entrare fisicamente nella Striscia, combattendo tra le case e tra i cadaveri contro i miliziani, oppure nei piloti dei caccia che, premendo un pulsante, in pochi secondi hanno cancellato l’esistenza di intere famiglie. La transizione tra un teatro di guerra dove muoiono donne e bambini e la vita civile a volte è una quadratura impossibile.

Secondo gli psicologi militari, almeno 1600 soldati ritornati dalla Striscia sono rimasti vittime di PTSD, ovvero di disturbo post traumatico da stress detto anche nevrosi di guerra, un fenomeno su cui esiste una sterminata letteratura. Il 76% di chi ha partecipati a missioni ha avuto bisogno di assistenza psicologica. Il fenomeno è così diffuso che i funzionari della divisione risorse umane dell'esercito temono che possa diventare una scappatoia per i cittadini che vogliono disertare.

Diversi i casi di suicidio anche se le autorità dello Stato ebraico non hanno fornito statistiche ufficiali riguardo la guerra in corso; i vertici dello Stato maggiore parlano di «incidenti isolati». Ne esiste però una storica, precedente il 7 ottobre, che parla di 1277 soldati suicidi tra il 1973 e il 2023, una cifra che si suppone possa essere molto più elevata.

Il Jerusalem Post racconta alcune storie di reduci da Gaza che non hanno sopportato il fardello delle violenze viste e commesse. Come Eliran Mizrahi, 40 anni e padre di quattro figli, arruolato subito dopo i pogrom del 7 ottobre 2023, che ha lottato per sei mesi contro il PTDS per poi suicidarsi quando ha ricevuto una cartolina di richiamo alle armi. Il suo primo compito è stato pulire i corpi dei ragazzi uccisi da Hamas al festival Supernova, poi ha prestato servizio nell’enclave palestinese come ingegnere di combattimento. «Lui è uscito da Gaza, ma Gaza non è mai uscita da lui» ha detto la madre Jenny in un’intervista alla Cnn.

Meno tragica ma alquanto singolare la reazione del pilota Guy Zaken a cui era stato ordinato di «investire terroristi, vivi o morti» con il buldozer e che, dopo il congedo è diventato vegetariano: «A Gaza ho visto cose impossibili da accettare, quando ti imbatti ogni giorno su carne morta di esseri umani non riesci più mangiare nessun tipo di carne».

C’è poi chi non riesce a reinserirsi nella società, assediato dai fantasmi della guerra, incapace di tornare al proprio lavoro e che precipita nel disastro economico come Avichai Levy veterano dell’Idf anche lui citato dal Jerusalem Post: «Ho più di un milione di shekel di debito, non posso lavorare, non riesco a ottenere prestiti e finirò in mezzo a una strada e il governo non sta facendo nulla».

Ad alimentare l’angoscia dei reduci, il possibile ritorno nell’inferno della Striscia, ma anche l’arruolamento sul fronte libanese dove infuriano i combattimenti contro le milizie sciite di Hezbollah, ancora più agguerrite e capaci dei combattenti di Hamas.