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Il presidente degli Stati Uniti può graziare se stesso preventivamente? Ancor prima, cioè, di essere indagato o condannato per un certo reato. L’impresa vale l’audacia di Donald Trump, intenzionato – parrebbe - a lasciare la Casa Bianca armato di “scudo” almeno per i suoi figli e il suo difensore, Rudy Giuliani. Donald Junior, Eric e l’amata Ivanka, infatti, potrebbero finire per motivi diversi nel mirino dei giudici, con lo stesso Trump a rischio incriminazione per aver ordinato all’ex avvocato Michael Cohen di pagare con fondi elettorali la pornostar che minacciava di rivelare la loro relazione. Guai potenziali non mancano per il genero di Mr President, Jared Kushner, attenzionato a suo tempo dai federali per aver dichiarato il falso sui suoi contatti con agenti stranieri. Tutti tasselli che, con il fine mandato, aprono a un 2021 di guai giudiziari per l’ex famiglia presidenziale.
Anche dopo aver annunciato la grazia per Michael Flynn, ex consigliere di Trump per la Sicurezza Nazionale coinvolto nel Russiagate, il presidente uscente ha però liquidato le domande dei giornalisti senza chiarire le sue intenzioni.
Proprio nei giorni caldi, peraltro, in cui spuntano le carte della Corte distrettuale di Washington da cui emerge un’indagine su presunte tangenti offerte alla Casa Bianca in cambio dell’ottenimento di una grazia presidenziale. Un potere che, a dire dei suoi ex collaboratori, sarebbe una vera «ossessione» per il Tycoon, se già nel 2018 scriveva: «Come stabilito da numerosi studiosi, io ho il diritto di graziare me stesso, ma perché dovrei farlo se non ho fatti nulla di sbagliato?». Per proteggersi dalla «sete di sangue della sinistra radicale», risponde oggi The Donald rilanciando il tweet di un deputato repubblicano: il timore sarebbe, cioè, che l’amministrazione Biden possa utilizzare la giustizia per scopi politici. Una preoccupazione che però non sembra trovare riscontro nelle parole del presidente democratico eletto. «Non vedrete questo tipo di approccio nel mio governo», ha garantito Joe Biden. «Il mio Dipartimento di Giustizia opererà in maniera indipendente», assicura il dem, perché «appartiene ai cittadini» e non è compito del presidente dirgli che cosa fare.
Intanto, gli esperti si arrovellano sui confini legali di un potere esecutivo, la grazia, costituzionalmente garantito al Presidente che può «commutare o annullare la pena inflitta per reati contro lo Stato, tranne in caso di impeachement». Oppure estinguere ogni effetto penale, come prevede l’istituto dell’amnistia. La questione si complica quando in ballo ci sono reati non ancora commessi ( o non ancora indagati). Di certo c’è solo che il potere di grazia si applica esclusivamente in caso di procedimenti federali, mentre non servirebbe da scudo per quelli di natura penale e civile portati avanti dalla magistratura dei singoli stati, come quella di New York che sta indagando la Trump Organitation per evasione fiscale. Per sua stessa natura, però, la grazia comporta un rischio non secondario: chi ne beneficia deve rinunciare alla possibilità di appellarsi al Quinto Emendamento che sancisce il «diritto a non autoincriminarsi» quando si è chiamati alla sbarra. Con il pericolo quindi, di commettere un nuovo reato.
Resta da chiarire se un presidente possa applicare la grazia a se stesso, dal momento che non esiste un precedente su cui la Corte Suprema sia stata chiamata ad esprimersi. Lo stesso Richard Nixon, che si era sempre proclamato innocente durante il Watergate, era inizialmente restio ad accettare la grazia dal suo vice Gerald Ford che aveva assunto l’incarico dopo le sue dimissioni nel 1974. In quel caso, Gerald firmò un provvedimento che assolveva Nixon «pienamente, per tutti i crimini contro gli Stati Uniti» presunti o commessi. Una grazia “plenaria”, diremmo, che apre la strada al perdono per reati non ancora individuati.