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Pavel Durov, fondatore e Ceo di Telegram
Il “caso Durov” ha delle implicazioni internazionali con prese di posizione – alcune singolari e contraddittorie – da più parti, compresi gli Stati che negli ultimi anni stanno avendo un ruolo fondamentale nei blocchi contrapposti, nella situazione di attuale polarizzazione e nelle guerre in corso. Potremmo dire che tante partite si stanno giocando nel campo della geopolitica delle piattaforme digitali, con scenari da “guerra non lineare”, e l’affaire Telegram ne è la dimostrazione.
Tra la Francia e il fondatore dell’app con 900 milioni di utenti, Pavel Durov, i rapporti risalgono già agli anni passati. Il fermo di sabato scorso nell’aeroporto Le Bourget di Parigi e le accuse – molto gravi – mosse dall’autorità giudiziaria francese confermano il grande interesse dell’Eliseo nei confronti di quello che in tanti definiscono un “leader anti-establishment”.
Desiderio di giustizia o altro nelle mosse della magistratura francese? Il quadro potrà essere più chiaro nei prossimi giorni. Corteggiato da molti governi, con l’intento di controllarlo e di scendere a patti, Durov – in un post scrisse “la curiosità senza paura guida l’innovazione” - viene descritto, a seconda dei punti di vista, un agevolatore di reati infamanti e un paladino della libertà di pensiero.
La relazione tra Durov e alcuni Stati, come la Francia e gli Emirati Arabi, è stata definita ieri dal Wall Street Journal “lunga e complicata”. Nel 2018, racconta il quotidiano newyorkese, Durov e Macron si incontrarono a pranzo e pare che il capo dell’Eliseo abbia suggerito al fondatore di Telegram di spostare la sede dell’azienda a Parigi, discutendo pure sul conferimento della cittadinanza francese, concessa nel 2021 in quanto considerato “straniero emerito”. L’imprenditore rifiutò la proposta di trasferire i propri affari in Francia. Se da un lato il governo Macron espresse premure verso Durov, da un altro le attività di Telegram furono costantemente monitorate. Nel 2017 i servizi segreti francesi, in base alla ricostruzione del Wall Street Journal che fa riferimento a fonti qualificate, realizzarono un’operazione congiunta con i colleghi degli Emirati Arabi Uniti, ribattezzata “Purple music”, nella quale l’iPhone di Durov venne hackerato. L’obiettivo era verificare se sulla piattaforma avvenisse il reclutamento di fanatici e terroristi per ideare attentati in giro per il mondo.
I vertici di Telegram hanno sempre avuto un atteggiamento sprezzante nei confronti delle autorità giudiziarie di diversi Paesi, ignorando le richieste di chiarimento sul funzionamento dell’app e di collaborazione per evitare che la piattaforma social fosse una prateria per criminali di ogni risma. Come se Pavel Durov avesse sempre detto: “Vi apro le porte del mio mondo, ma le chiavi restano in mio possesso”. Sabato scorso il coup de théâtre. L’arresto a Parigi e la comparizione ieri davanti al Tribunale di Parigi segnano la fine di una luna di miele e l’inizio di un nuovo corso nei rapporti tra il governo francese e il miliardario nato a San Pietroburgo.
Nella vicenda non mancano atteggiamenti contraddittori di alcuni Stati, che adesso si scoprono difensori della libertà di espressione. Il leader supremo dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, ha definito Durov un “povero ragazzo” contro il quale si sta consumando un accanimento giudiziario da parte della Francia. «Violare la governance non è accettabile – ha detto Khamenei -, governi un Paese, hai una responsabilità. Non puoi permettere a nessuno di violare la tua governance». La guida suprema predica bene e razzola male, dato che in Iran Telegram è vietato, ma è utilizzato dagli iraniani che si oppongono al regime e possono far conoscere al mondo intero la sistematica violazione dei diritti.
Attenzione (autentica o di facciata?) verso Durov è stata dimostrata dalla Russia. Anche in questo caso le parole espresse destano non poche perplessità e fanno emergere ulteriormente gli attriti tra Russia e Francia. Il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, sostiene che Macron abbia iniziato una vera e propria caccia alle chiavi di crittografia di Telegram e per questo avrebbe voluto fermare, una volta toccato il suolo francese, il geniale Durov. Una tesi con la quale si sostiene altresì l’elevato livello di protezione dello scambio di messaggi e altri contenuti sulla piattaforma. «Per quanto riguarda l’utilizzo di Telegram – ha commentato Lavrov -, è molto conveniente, è veramente protetta. Almeno, se qualcuno aveva dei dubbi in merito, ora che Durov è stato fermato su consiglio di qualcuno e viene minacciato di una terribile punizione, apparentemente sperando di ottenere in qualche modo l’accesso ai codici di crittografia, le azioni dei francesi hanno dimostrato che Telegram è una rete veramente affidabile e popolare». L’app in Russia è diventata un formidabile strumento per gli oppositori di Putin, che possono far sentire la propria voce.
Immancabile il commento della portavoce di Lavrov, Maria Zakharova, secondo la quale le organizzazioni internazionali devono adempiere al loro mandato di proteggere la libertà di parola e condannare le azioni delle autorità francesi nei confronti del fondatore di Telegram. «In questa situazione – ha detto Zakharova -, le strutture internazionali competenti sono tenute ad adempiere al loro mandato di proteggere la libertà di parola e la diffusione delle informazioni e di condannare le azioni restrittive da parte delle autorità francesi».
La difesa di Pavel Durov da parte di Stati che non sono certo campioni di democrazia cela probabilmente l’attenzione non verso la libertà di un individuo - l’inventore di Telegram – e quella collettiva, ma l’interesse a tenere nascoste o a recuperare le famose chiavi della crittografia end-to end. Una caccia al tesoro nella geopolitica delle piattaforme digitali.