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Potevamo morire tante volte, potevamo perderci, lasciarci andare, sopraffatti dalla vita e dal greve corso degli eventi.
E invece l’abbiamo scampata bella, salvati ogni volta dal talento di un signore di Brooklyn che ieri ha compiuto 85 anni molti dei quali spesi a soccorrerci con la sua arte leggera e profonda. Da oltre mezzo secolo ci fa ridere e piangere e ci aiuta a sopportare la realtà, che sarà anche un posto orribile, ma è l’unico dove riesci a trovare delle buone alette di pollo.
Allan Stewart Königsberg, per tutti Woody Allen, ci ha soprattutto ingannati, facendoci credere che lui è un intellettuale ma è soltanto un gioco di prestigio, uno spettacolo di magia della stessa risma di quelli che provava da bambino, la sua prima passione.
La “ferocia” dei suoi ritmi di lavoro, un moto perpetuo di creazione e produzione è figlia del suo approccio quasi “proletario” e anti- elitario alla scrittura, una catena di montaggio capace di sfornare un lungometraggio ogni anno da interi decenni. Nulla lo ha mai fermato, neanche l’ 11 settembre: quel giorno, spiega nell’autobiografia A proposito di niente- stava lavorando a una sceneggiatura e quando vede gli aerei infilarsi nelle Torri gemelle alza per trenta secondi gli occhi alla tv e poi riprende a scrivere. È andato avanti anche quando a Hollywood nessuno voleva più sostenerlo, colpito dal fango di risulta di un # metoo che lo ha colpito per inerzia pavloviana, messo sul banco degli imputati senza capo d’imputazione e accusato di nefandezze che non ha mai commesso come hanno dimostrato tutte le inchieste a suo carico che lo hanno prosciolto senza che nessuno si scusasse.
Allen è intelligenza pura, ironia saettante, amore smisurato del bello, ma tutta la sua vita e tutta la sua opera trasudano cultura pop, gli piacciono le patatine fritte, le partite dei Knights, Joe Di Maggio, il vecchio Groucho Marx, le donne.
Manhattan che occhieggiava con le sue luci e i suoi grattacieli dall’altro lato dell’East river era un sogno, l’ha conquistata dopo i 20 anni, partendo dai bassifondi; dalla famiglia di immigrati ebrei russo- austriaci, il papà tassista la mamma cassiera in un negozio di fiori, dalla scuola per «insegnanti disagiati» che ha frequentato e detestato, dalle montagne russe che facevano tremare il tetto di casa come accadeva al l’alter ego Alvin Singer in Io e Annie, dai numeri di magia con cui stupiva gli amichetti. Uno che sa apprezzare il cinema svedese e Gustave Flaubert con la stessa sincerità e naturalezza con cui guarda una partita di basket o un tlak show, che va a cena con i columnist dei grandi quotidiani d’opinione come l’Isaac Davis di Manhattan ma poi irride gli azzimati avventori di un cocktail party spiegando che con i nazisti «la satira è inutile perché ci vuole la mazza da Baseball.
Le nevrosi, i tic, l’autoironia con cui racconta i tormenti degli intellettuali di Park Avenue, lettori del
New Yorker, avventori di aperitivi letterari, critici d’arte, è un espediente come lo è l’ambientazione “radical chic” di molti suoi film. Una cornice dentro cui tratteggiare il suo cinema universale, disseminato di dilemmi esistenziali e filosofici potenti quanto irrisolti: la vita, la morte, l’amore, la coppia, il male e il bene, la colpa, la famiglia il tradimento e la rimozione, la paura e la religione.
Con l’inevitabile conclusione che alla fine del viaggio terreno nulla ha un senso e che l’unico antidoto alla morte e alla sofferenza non può essere Dio, ma ridere, ridere di tutto, dalle proprie infime miserie fino ai grandi drammi della Storia come la Shoah.
È davvero un uomo tragico Woody Allen, un tragico che tenta di sfuggire al destino cinico e baro brandendo il comico, salendo sulle ali dell’ironia, del grottesco, dell’umorismo. È il beffardo gioco dei rovesci che ci riserva la vita come viene mostrato magistralmente in Melinda e Melinda: lo sceneggiatore di commedie è in realtà una persona cupa e disperata mentre l’autore di film drammatici è un buontempone sempre con la battuta pronta. Già, le battute, che guizzano a migliaia in tutte le sue pellicole, lampi di genio e di verità, di un artista amato in quasi ogni parte del pianeta ma che piuttosto che vivere nel cuore della gente preferisce farlo nel suo appartamento.