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Il pallone rotola via verso l’ignoto. La Superlega annunciata da 12 grandi club europei (Milan, Arsenal, Atletico Madrid, Chelsea, Barcellona, Inter, Juventus, Liverpool, Manchester City, Manchester United, Real Madrid e Tottenham) è infatti lo scisma più lacerante nella storia della palla rotonda, uno strappo totale, roba da guerra secessione. I campionati nazionali, le competizioni continentali e i tornei tra le nazionali rischiano di venire sconquassati. Una Davos del pallone che ribalta il principio di competizione aperta e fondata sul merito e che sta letteralmente terremotando le istituzioni del calcio europeo. Le leghe nazionali, le federazioni, l’Uefa e la Fifa dopo lo choc iniziale minacciano durissime ritorsioni contro i secessionisti, da multe salatissime fino alla stessa esclusione delle squadre e dei loro tesserati da tutte le competizioni ufficiali. Esclusioni che potrebbero essere operative fin dai campionati in corso, stravolgendo tutti i risultati sportivi dell’attuale stagione e le coppe europee di quella prossima.A parte i diretti interessati, desiderosi di recuperare i miliardi perduti a causa della pandemia di Covid, quasi tutti i protagonisti la pensano come l’immaginifico direttore sportivo del Bologna Walter Sabatini per il quale la Superlega «è un progetto raccapricciante, un ritorno al feudalesimo che disorienta e sopprime ogni pensiero sul diritto di tutti di fare calcio». Gli stessi tifosi delle squadre promotrici non è affatto detto che accolgano con favore l’epocale cambiamento. Ad esempio i gruppi organizzati della curva nord dell’Inter hanno bocciato la Superlega che pure vedrebbe i nerazzurri protagonisti.Ma la vicenda sconfina il rettangolo di gioco e scuote anche il mondo della politica che insorge unanime contro la grande fuga in avanti delle squadre più ricche e blasonate del vecchio continente. Chi l’avrebbe mai detto: sovranisti e liberali, progressisti e conservatori uniti nella lotta contro questa nuova Spectre che vuole sequestrare lo sport più seguito del pianeta .Il presidente francese Emmanuel Macron è stato il primo esprimersi contro quella che definisce un «minaccia del principio di solidarietà e merito sportivo», promettendo che si impegnerà a fondo per mantenere «l’integrità delle competizioni federali, nazionali ed europee». Ancora più duro, com’è nel suo stile, il premier britannico Boris Johnson il quale afferma che farà «di tutto» per fermare il progetto. Dovrà scornarsi principalmente contro le sei squadre inglesi presenti nel board delle 12 grandi. Oltre che sulla compattezza del governo potrà però contare sulla reazione dei fans disgustati dalla Superlega; i caldissimi tifosi del Liverpool fanno sapere che in segno di protesta toglieranno tutti gli striscioni dalla curva Kop di Anflield in segno di protesta contro il loro club e la sua «avidità».Anche il premier ungherese Viktor Orban, non certo un paladino dell’uguaglianza dei diritti, si scaglia contro la Superlega sfoggiando una retorica : «Ci opponiamo con fermezza, la grandezza di questo sport appartiene a tutti, i ricchi non possono appropriarsene». Di umore completamente opposto il mondo della finanza, entrato in fibrillazione dopo l’annuncio dei 12. Ieri il titolo del Manchester United, che è quotato a Wall street, è schizzato in avanti dell’8%, mentre la Juventus registrava alla borsa di Milano un balzo di oltre il 15%.L’idea di una Lega aperta soltanto a squadre di prestigio e con in calendario tutte partite di cartello è infatti un modo per far lievitare i profitti a dismisura, dagli incassi ai diritti televisivi ai contratti con gli sponsor e difficilmente i suoi promotori vi rinunceranno a cuor leggero. Secondo le prime proiezioni i ricavi della Superlega supererebbero di quattro volte di quelli dell’attuale Champions League.Ma i toni apocalittici delle ultime ore, la contrapposizione assoluta tra i secessionisti e le istituzioni del calcio mondiale che sta andando in scena delineano un climax molto più studiato di quanto sembri. E più probabilmente l’inatteso strappo di domenica notte è soltanto un ballon d’essai, una prova generale per testare le reazioni della politica e abituare il grande pubblico alla rivoluzione che verrà. Di sicuro non oggi.E di sedersi al tavolo dei negoziati con il governo del pallone in una posizione di forza.Anche perché, oltre alla comprensibile indignazione degli esclusi, i promotori devono tener conto del gran rifiuto da parte di top club come i tedeschi del Bayern di Monaco e del Borussia Dortmund e soprattutto dei francesi del Paris Saint Germain, per nulla intenzionati ad aderire al progetto. Tanto che la stessa Juve ieri sera sfumava i toni affermando che la Superlega «non è un progetto da realizzare nell’immediato». Sarà.