PHOTO
Quarant’anni fa, il 12 marzo 1977, il giorno dopo l’uccisione a Bologna dello studente Francesco Lorusso, la polizia fa irruzione nei locali di Radio Alice, li sigilla e arresta tutti gli animatori. I media ufficiali avevano scatenato una vera e propria crociata contro l’emittente, con l’accusa di essere stata la diretta responsabile degli scontri violenti seguiti alla morte del giovane studente. Per dirla tutta, lo studente, un 25enne militante di Lotta Continua, era stato freddato da un colpo d’arma proveniente dalle forze dell’ordine dopo che una bottiglia molotov aveva raggiunto un autocarro. Ma la morte dello studente dette origine a ulteriori e pesanti scontri di piazza. Radio Alice aveva solo mandato in onda, come faceva per tutto quello che accadeva in città, la cronaca degli eventi. Del resto, è Umberto Eco, curiosamente attento ma spesso critico nei confronti dell’ala creativa del ’ 77, a difendere la redazione della radio dalla campagna denigratoria nei suoi confronti. Fatto sta che la chiusura determina la fine di un anno vissuto in prima persona da quella radio e che è stato decisivo per l’immaginario di una generazione.
Tutti gli arrestati vengono portati in questura e successivamente trasferiti nelle carceri di San Giovanni in Monte. Ovviamente, in seguito vengono tutti prosciolti dalle accuse mosse nei loro confronti. Radio Alice riaprirà circa un mese dopo e continuerà le trasmissioni per ancora un paio d’anni, ma senza l’apporto degli originali fondatori e senza più la stessa vocazione, tanto che la frequenza della radio verrà ceduta a Radio Radicale.
Quell’avventura era iniziata ai primi di gennaio del ’ 76, con le prime trasmissioni di prova dalla mansarda al civico 41 di via del Pratello, dall’idea di un gruppo di amici e studenti del Dams, il primo dipartimento universitario in Italia di “arte, musica e spettacolo”. «Quando Maurizio Torrealta venne a casa mia a propormi di fondare una radio – ha ricordato Franco Berardi Bifo, uno degli animatori – la trovai una idea bellissima. Pensai: sappiamo cantare, fare gli speaker, ballare, praticamente possiamo fare tutto: ma la macchina?». E così si aggregano quelli che avevano le competenze tecniche, come Torrealta o Andrea Zanobetti, ingegnere elettronico.
Si decide di mandare in onda tutt’altro da quello che si ascoltava dalla Rai: brani di libri, comunicazioni sindacali, poesie e letteratura, lezioni di zen e di yoga, analisi politiche, dichiarazioni d’amore, commenti ai fatti del giorno, ricette non solo macrobiotiche, favole della buonanotte, liste della spesa, la musica dei Jefferson Airplane, degli Area o di Beethoven. E tutte le trasmissioni, sulla frequenza di 100.6 megahertz, si aprono e si chiudevano sempre col brano Lavorare con lentezza, del cantautore pugliese Enzo Del Re.
È la versione bolognese, forse più creativa ed effervescente di altre per la presenza in città del Dams, di ciò che stava andando in onda in tutta Italia dopo la sentenza della Corte che aveva dichiarato anticostituzionale il monopolio statale sull’etere. S’era d’un tratto aperto un vero e proprio vuoto giuridico, nel quale in brevissimo tempo si inserì un circuito di piccole emittenti locali improvvisate, le cosiddette “radio libere”. Da questo punto di vista, osserva – in I sogni e gli spari. Il ’ 77 di chi non c’era ( Azimut) – Emiliano Sbaraglia, «il 1977 produsse un esempio unico e irripetibile di comunicazione radiofonica: cambiano radicalmente le tecniche di informazione: si modificano, ampliandosi e migliorandosi, le possibilità di recupero di materiale informativo, i metodi di trattamento dello stesso, la pubblicazione e la diffusione di una notizia». D’un colpo irrompe in Italia l’epopea di Radio Popolare a Milano, di Radio Sherwood a Padova, di Radio Città Futura e Radio Onda Rossa a Roma ma non solo… Nascono infatti anche Radio University a Milano e Radio Alternativa nella Capitale e tante altre emittenti “di destra”. Interessante la recensione che L’uno, il supplemento “politico” di Linus, pubblica nel numero di marzo ’ 77: «C’è il solito coretto di scena post- brechtiano, tipo Dario Fo… Poi parlano alcuni giovanotti… Dicono che i servizi segreti sono infiltrati… Poi si mette su un altro disco, questa volta è una melopea dylaniana contro i grassi borghesi, le signore puttane che giocano a canasta… Poi si riprende il dibattito e si parla della strategia della tensione, della manovra della stampa borghese che mette in risalto gli elementi da fotoromanzo presenti negli atti di terrorismo e di equivoca criminalità comune. Altra musica, mitteleuropea ( Berlin, mein Berlin). Poi interviene un parlamentare che rincara la dose: le istituzioni sono in sfacelo, ma non da oggi; fin dai tempi di Salvatore Giuliano e della strage di Portella della Ginestra; ancora prima, dallo sbarco degli americani con i mafiosi». Quindi la sorprendente constatazione: «Tutto questo – si leggeva insomma agli inizi del ’ 77 sul supplemento di Linus – non viene trasmesso da una radio libera “democratica”, come si potrebbe pensare. Ma da Radio University, emittente milanese “fascista”…» ( che trasmetteva addirittura dalla sede della federazione provinciale del Msi). Non si notavano differenze, concludeva l’anonimo recensore, con le programmazioni, le parole e i suoni con le radio legate all’estrema sinistra. E tutto questo era vero, nella condivisione generazione di un immaginario e di una sensibilità esistenziale che accomunava il profondo dei giovani di allora, che alla notizia dei sigilli a Radio Alice, mentre Radio University trasmette in diretta le fasi drammatiche della chiusura dell’emittente bolognese, il conduttore Walter Jeder invitava i suoi ascoltatori a solidarizzare con i redattori bolognesi perché spiegava «potrebbe succedere anche a noi».
Insomma, Radio Alice è il simbolo di tutto un più vasto fenomeno che stava trasformando la comunicazione e l’informazione nel nostro paese. Ma perché quel nome? La suggestione veniva dal nome del personaggio di Lewis Carroll, l’autore di Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio. Era accaduto che nel ’ 75 era uscito un saggio di Gilles Deleuze, autore caro ai giovani di quella fase, dal titolo La logica del senso e che analizzava proprio i luoghi e la mente della protagonista degli scritti di Carroll. Come se non bastasse, dal ’ 76 e fino al novembre ’ 77 Gianni Celati, docente di letteratura an- glo- americana al Dams, tiene un seminario in forma di lavoro collettivo sulla figura di Alice nel paese delle meraviglie. Tra i suoi studenti, il futuro narratore Enrico Palandri, Andrea Pazienza in arte Paz e Roberto Freak Antoni, giovani creativi che rappresenteranno al meglio lo spirito del ’ 77. «Il nome di Alice era già stato messo in giro alla controcultura americana ed era diventato una parola d’ordine per riferirsi a quel tipo di aggregazione sparsa e senza gerarchie che è stato chiamato movimento», si legge in Alice disambientata, il libro che raccoglie i materiali del seminario e che verrà pubblicato l’anno successivo dalle edizioni “L’erba voglio” di Elvio Fachinelli. Fatto sta, che quel seminario tenuto nel ’ 77 finisce per definire la figura fiabesca di «Alice come emblema e, in qualche modo, nome del nuovo movimentismo giovanile, almeno a Bologna. La stessa Alice che, come ha ricordato Marco Belpoliti, suscitava contemporaneamente le reazioni polemiche dei «giovani barbuti con tascapani militari», gli ideologizzati e militanti che erano convinti che l’argomento fosse «futile e lontano dai problemi della società».
Ecco, un personaggio fantastico, un simbolo dell’immaginario, si tramuta in elemento di discrimine: da una parte chi è in sintonia con i tempi nuovi, dall’altra chi resta attardato ai vecchi stilemi ideologici. D’altronde, i partecipanti al seminario ne erano consapevoli. Così scrivevano sulla scelta di una dimensione tutta “fantastica”: «Quando l’eroe parte per il fuori, va fuori dal villaggio dove non esistono più i rapporti di alleanza e parentela che gli forniscono i modelli culturali di comportamento. La fiaba insegna un modello di comportamento per zone dove l’individuo non è protetto dai rapporti sociali di alleanza e parentela, trasmette i modi per stabilire questi rapporti sociali anche fuori dal villaggio». Insomma, Alice diventa una figura che quell’anno compare un po’ dappertutto, metafora di un universo giovanile aperto, che sfugge – si legge nel libro – «all’elaborazione d’una linea e ad esportare verso l’esterno questa linea come proposta di discorso egemonico». Ancora: «Non parliamo di utopia. Anche l’utopia è un modo di ridurre le contraddizioni a uno schema fisso… La controcultura ha posto una questione minima: tutti i rapporti da stabilire sono affettivi, i rapporti politici sono quelli già esistenti nella nostra società e non piacciono a nessuno tranne ai politici». È la riscoperta generazionale del “personale”, dell’esistenziale, del comunitario, rispetto ai vecchi rapporti astratti, societari, istituzionali, politici: «L’ipotesi venuta dalla controcultura – leggiamo ancora in Alice disambientata – non è un’utopia, riguarda un problema di circolazione: un corrersi dietro tutti, cercando di darsi a vicenda dei rapporti d’identificazione affettiva». E in conclusione il seminario riconosce che i “mondi della vita” emergenti nella società in quel ’ 77, soprattutto tra le giovani generazioni, non sono più rappresentabili dalle istituzioni o dei partiti, quanto dalle reali comunità giovanili, un mondo fatto di pluralità e differenze: «Le tribù in movimento sono tante e molto differenziate, e con teorie di campo tanto dissimili».
Ecco, quell’icona e Radio Alice rappresentavano al meglio la rottura con le vecchie forme della militanza e aprivano la strada a nuove forme di comunicazione. Tant’è vero che il quando il 9 febbraio ’ 76 iniziano le trasmissioni vere e proprie di Radio Alice, si aprono proprio con la musica di White Rabbit, un brano degli Jefferson Airplane che non poteva non ricordare il coniglio bianco compagno d’avventure dell’Alice ispiratrice. E, da subito il flusso quotidiano di informazione è continuo, senza alcuna interruzione, come invece accadeva con la Rai o con altre emittenti libere. Sarà proprio questa l’innovazione rappresentata dal prepotente ingresso di Radio Alice nel mondo della comunicazione. Un’innovazione che, nel 2004, verrà celebrata dal film Lavorare con lentezza, diretto da Guido Chiesa e sceneggiato insieme al collettivo Wu Ming. Qui le vicende di due ragazzi bolognesi si mescolano a quelle dei movimenti studenteschi del ’ 77 e delle trasfor-mazioni antropologiche, politiche e nella comunicazione di quell’anno. E mentre queste cose accadono, sullo sfondo – a cominciare dal brano del titolo – si ascolta sempre, come una sorta di colonna sonora quotidiana, quanto va in onda sulle frequenze di Radio Alice.