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Dopo le parole del Presidente della Repubblica, del Papa, dei Magistrati di sorveglianza, dell’Avvocatura, dei Garanti dei detenuti, dei rappresentanti della Polizia penitenziaria e di tanti altri finalmente si è sentita la voce del Presidente del Consiglio che ha dichiaratAggiungi articoloo che il Governo non intende girarsi dall’altra parte di fronte alla condizione delle carceri e alla tutela dei detenuti e di chi lavora ed opera negli istituti penitenziari. Dalle parole si passi ai fatti. Mi auguro che da questo ulteriore e drammatico momento che le nostre carceri stanno vivendo a causa del Coronavirus venga colta l’indifferibile necessità di una riforma capace di incidere non solo per il presente, ma anche e soprattutto per il futuro. Se vogliamo dare piena attuazione all’articolo 27 della Costituzione che prevede la rieducazione del condannato e indica come le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, l’unica strada da dover intraprendere è una più decisa e allargata applicazione delle pene alternative al carcere. Non nell’interesse di singoli detenuti, ma nell’interesse della nostra democrazia e in quello più generale della sicurezza collettiva. La realtà quotidiana- e tutti i dati, recenti e meno recenti lo dimostrano – evidenzia come, grazie all’ applicazione delle misure alternative al carcere, diminuisce la recidiva e, di conseguenza, aumenta la sicurezza dei cittadini. Il tema “carceri” non è argomento che può interessare solo gli addetti ai lavori e pochi altri che – con coraggio e forza- danno voce e testimonianza a quel mondo. Non è possibile che si parli di condizioni carcerarie solo quando scoppia una rivolta. Le carceri sono l’immagine e il volto di un Paese e le condizioni attuali dimostrano, anche alla luce delle condanne della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che l’Italia sulla base delle condizioni di gran parte dei nostri istituti penitenziari anche, e soprattutto a causa del sovraffollamento, non può essere considerata un Paese “civile”. Andiamo quindi oltre la logica emergenziale. I problemi non si risolvono guardando al passato, ma al presente e al futuro.Come richiesto da più parti e ancora oggi dalla Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano sono indispensabili modifiche migliorative al decreto legge all’esame del Parlamento che prevede la possibilità, per chi ha un residuo di pena da scontare minore ai due anni, di ottenere gli arresi domiciliari. Quel provvedimento purtroppo prevede una serie di passaggi, con connessi lacci e laccioli, che lo rendono molto debole e non in grado di dare una risposta concreta ad una emergenza che rischia di implodere. Tutte le proposte di detenzioni domiciliari o di sospensione dell’esecuzione della pena in caso di una reclusione da scontare non superiore ai due anni, che provengono dal mondo accademico, dall’ avvocatura e dalla magistratura, hanno un preciso e fondamentale obiettivo: le nuove norme debbono essere applicate al più presto, prima che sia troppo tardi, eliminando ogni “burocrazia” giudiziaria e sostituendola con un meccanismo automatico. La certezza di tornare in carcere e di scontare l’intera pena in caso di violazione degli obblighi sarebbe un deterrente efficace a tutela della collettività. Partendo da una situazione difficile per tutti, si trovi la forza e il coraggio di fare, anche sui temi della giustizia e del carcere, quei passi avanti che possono permettere al nostro Paese di uscire da un tunnel che sembra senza fine. I tempi sono stretti ma proprio per questo bisogna avere la forza e il coraggio per realizzare una riforma alta e di visione che il Paese attende da anni.