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Suicidio assistito, domani la sentenza del Tribunale di Massa su Marco Cappato e Mina Welby per il caso di Davide Trentini
È un passo oltre la sentenza Dj Fabo. Domani il Tribunale di Massa deciderà se è reato prestare aiuto al suicidio anche a chi, diversamente dal Fabiano Antoniani, non sopravvive grazie alle macchine. I giudici dovranno infatti decidere se Mina Welby e Marco Cappato sono colpevoli del reato previsto all’articolo 580 del codice penale per aver aiutato l’allora 53enne Davide Trentini, che era malato di sclerosi multipla da trent’anni, a porre fine ai suoi giorni, attraverso la cosiddetta morte volontaria, il 13 aprile 2017. Perché la sentenza di Massa è rilevante, visto che la pronuncia 242 della Corte costituzionale, quella relativa appunto a Dj Fabo, ha già parzialmente depenalizzato l’aiuto al suicidio? Lo è perché nella decisione presa il 24 settembre 2019, la Consulta ha stabilito che non può essere punito chi agevola «l’esecuzione del proposito di suicidio» di una persona la cui condizione sia segnata da quattro precise condizioni: sia «affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli» – e fin qui si tratta di circostanze in cui si trovava, purtroppo, Davide Trentini – e che sia inoltre «tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale». E il 53enne ammalato di sclerosi che riuscì a interrompere le proprie sofferenze in Svizzera non dipendeva da macchinari, diversamente da Dj Fabo. Naturalmente il valore della pronuncia attesa di qui a poche ore (inizio dell’udienza alle 12, diretta su Radio Radicale) ha un enorme valore politico, che Welby e Cappato non mancano di rivendicare: «Dopo la rivoluzionaria sentenza della Corte costituzionale dello scorso settembre, che legalizza l’accesso al suicidio assistito alla presenza di quattro ‘criteri oggettivi’, la disobbedienza civile punta ora alla effettiva affermazione del diritto all’autodeterminazione», si legge in una nota dell’Associazione Luca Coscioni, di cui Mina Welby e Marco Cappato sono rispettivamente co-presidente e tesoriere. Entrambi si presentarono il giorno dopo la morte di Trentini presso la stazione dei carabinieri di Massa per autodenunciarsi. Il procedimento che sta ora per giungere alla sentenza di primo grado è nato da lì. E il valore politico di cui sopra è riferibile non solo allo spostamento in avanti del limite etico fissato dal giudice delle leggi con il caso Dj Fabo, ma anche rispetto all’inerzia del Parlamento seguita a quella storica pronuncia. «Nonostante le indicazioni della Consulta, che a seguito della sentenza si rivolse al legislatore sottolineando l’urgenza di una legge sul tema, fino ad ora il Parlamento», si legge infatti nella nota dell’Associazione Luca Coscioni, «non ha fatto altro che qualche giornata di audizioni degli esperti, senza nemmeno arrivare alla formazione di un testo base su cui incardinare un dibattito sul tema. Questa sentenza», segnala dunque il comunicato, «giunge in assenza di legge sulla materia e in presenza di una sentenza della Corte costituzionale che àncora il diritto all’autodeterminazione alla Costituzione e a leggi esistenti». Solo che nello specifico, il Tribunale di Massa dovrà appunto ricongiungere i principi fissati poco meno di un anno fa dalla Consulta con altri principi della Carta, e interpretarli in modo da scrivere una pagina, inedita, di diritto.