A fine giugno Steven Van de Velde, 29 anni, è stato convocato dalla federazione olandese di beach volley per rappresentare il suo Paese ai Giochi olimpici di Parigi. Una scelta che in patria sta suscitando roventi polemiche e pubblica indignazione. Nel 2016 Van de Velde fu infatti condannato da un tribunale britannico a quattro anni di prigione per violenza sessuale nei confronti di una ragazzina di 12 anni.

I fatti risalgono al 2014 quando l'atleta, allora 19enne, contattò la sua vittima su Facebook. Per diversi mesi i due si sono scritti e tra loro si è stabilità una complicità. Al punto che Van de Velde decide di andare a Londra per incontrarla di persona pur conoscendo la sua giovanissima età. La violenza si è consumata nell’abitazione della ragazzina a Milton Keynes, un quartiere a nord della capitale inglese. Approfittando dell’assenza della madre prima l’ha fatta ubriacare e poi ha ripetutamente abusato di lei.

Denunciato dalla famiglia della ragazzina, l’atleta, ha ammesso i fatti dichiarandosi colpevole davanti ai giudici britannici che lo hanno condannato a quattro anni di detenzione per stupro: «Non posso più tornare indietro e sono pronto a pagare le conseguenze per ciò che ho commesso». Nel 2017 però Van de Velde ha ottenuto l’estradizione in Olanda dove la sua condanna è stata riclassificata come semplice “fornicazione”, ottenendo così la libertà provvisoria dopo appena un mese.

L’opinione pubblica sembrava aver dimenticato completamente la vicenda, tanto che dal 2018 Van de Velde aveva già partecipato a diverse competizioni internazionali (dalla Coppa del mondo, agli europei) senza suscitare alcun clamore mediatico. Fino a quando la convocazione per i Giochi di Parigi ha riaperto il vaso di Pandora.

Kate Seary, direttrice di Kyniska Advocacy, un’associazione che si batte per il rispetto e la parità delle donne nel mondo dello sport ritiene, del tutto inopportuna la presenza del giocatore di beach volley a Parigi: «È un affronto totale alle vittime di violenza sessuale, la sua partecipazione fa passare il messaggio che le prodezze sportive contino più dei crimini.

Sulla nota piattaforma change.org è stata lanciata una petizione (ad oggi sottoscritta da 80mila persone) che ne chiede l’immediata esclusione dalle gare olimpiche. «Il triste curriculum di Van de Velde non deve essere oscurato, né nascosto sotto il tappeto, dobbiamo pronunciarci tutti contro una scelta che insulta il senso di giustizia e banaliizza il diritto alla sicurezza dei nostri bambini», recita la petizione.

Il Comitato olimpico olandese però difende a spada tratta la convocazione di Van de Velde per le gare parigine, partendo dal principio costituzionale che il ragazzo ha ammesso le sue colpe e ha finito di scontare le sua pena, riacquistando tutti i propri diritti civili, compreso quello di poter svolgere il proprio mestiere. La richiesta di esclusione, come viene specificato su change.org è una questione di “opportunità”, qualcosa che riguarda l’ aspetto simbolico e non un’azione che si poggia su basi legali: «Il problema non riguarda la singola persona ma l’immagine globale veicolata dalle Olimpiadi, che allude al tipo di società in cui vogliamo vivere».

L’ex nuotatore Pieter van den Hoogenband oggi capo delegazione ai Giochi, si dice «sorpreso» delle polemiche, ricordando che da almeno sei anni l’atleta è stato riammesso nella squadra nazionale olandese, mentre la federazione di beach volley ha scritto un comunicato ad hoc: «Il suo ritorno è stato possibile grazie a un programma di trattamento specializzato e in conformità con le condizioni stabilite per gli atleti condannati per un reato penale. Van de Velde si è pienamente impegnato a rispettare tutti i requisiti e ha superato tutte le rigorose soglie di valutazione del rischio, controlli e due diligence”, mentre gli esperti che hanno seguito il suo caso hanno dichiarato che non c'era rischio di recidiva».

Nella Carta del Comitato olimpico internazionale Olimpica le condizioni di ammissibilità degli atleti riguardano esclusivamente l’età, la prestazione sportiva e i controlli antidoping e non si fa menzione di atleti che hanno subito condanne. Allo stesso tempo ogni federazione internazionale stabilisce le proprie regole per la partecipazione alle Olimpiadi. Il Cio ha tuttavia il potere di rifiutare o revocare l'accredito prima o durante le competizioni. Nella Carta olimpica viene infatti specificato che «qualsiasi registrazione è soggetta all'approvazione del CIO, che può, a sua discrezione, rifiutare una registrazione in qualsiasi momento senza fornire motivazioni. Nessuno può rivendicare il diritto di partecipare ai Giochi Olimpici senza l’approvazione del Comitato».