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Prima l’ha chiamata «traditrice», poi l’ha licenziata con un fulmineo decreto presidenziale. L’ultima vittima politica di Donald Trump è la ministra ad interim della Giustizia Sally Yates “colpevole” di essersi opposta all’ordine esecutivo sull’immigrazione che mette al bando i cittadini di sette paesi musulmani, con lei è saltato anche il responsabile dell’Immigrazione e dogane Daniel Ragsdale.
La Yates aveva annunciato che i legali del suo dipartimento non avrebbero difeso il bando nei tribunali: «Ha tradito, rifiutando di eseguire un ordine che serve a difendere i cittadini americani» il ringhioso commento del neopresidente. In attesa della nomina di Jeff Session da parte della Commissione del Senato ( attorno a cui è nato uno scontro furioso con i democratici) alla Giustizia si è intanto insediato Dana Boente, procuratore del distretto orientale della Virginia. Il siluramento di Sally Yates l’ha fatta diventare uno dei simboli della rivolta anti Trump, il Comitato dei democratici l’ha definita «un’eroina e una patriota» e c’è già chi evoca il suo nome come candidata dem alle elezioni del 2020. Suggestioni, che però rendono bene l’idea del clima che si respira oltreoceano dove la contestazione al neopresidente sdilaga a macchia d’olio. Con una novità: tra gli oppositori non figurano solo militanti democratici, elettori di sinistra, sindaci e amministratori, avvocati e difensori dei diritti civili o semplici cittadini indignati dalla svolta razzista che sta subendo l’America, stavolta al coro di proteste si aggiunge anche l’insolita presenza delle élites, delle corporation, da Starbucks ( che ha promesso di assumere 10mila immigrati) a Google ( che ha stanziato un fondo di 4 milioni di dollari per i rifugiati) passando per le compagnie della Silicon Valley come Uber, Lyft e Aibnb. Persino i ricchissimi gemelli Koch, storici finanziatori del partito repubblicano si sono schierati pubblicamente: «Il bando chie vieta ai musulmani l’ingresso negli Usa è mostruoso e ricorda la Germania nazista», si legge in un comunicato della Koch foundation. Insomma il tycoon ( la cui popolarità è scesa sotto il 50%, mai accaduto per un presidente appena eletto) sta riuscendo nell’impresa di riconciliare il popolo con il cosidetto establishment, almeno questo gli va riconosciuto.