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COME NELLA TURCHIA DI ERDOGAN il GOVERNO DI BEIRUT VUOLE CONCEDERE LA GRAZIA AGLI STUPRATORI CHE SPOSANO LA LORO VITTIMA ANCHE SE MINORENNE
Il Paese delle spose bambine non è solo la Turchia del “ Sultano” Erdogan. Anche nel vicino Libano, che per legge ha come presidente un cristiano maronita ed è la patria degli arabi cristiani, si sta discutendo sulla misura che salva uno stupratore dal carcere se accetta di sposare la sua vittima, anche se minorenne. Anzi, mentre in Turchia le donne sono riuscite a bloccare il parlamento, in Libano si fa fatica a cancellare la legge già in vigore dal 1940. Secondo quel provvedimento, uno stupratore può essere condannato fino a 7 anni di carcere - che aumentano se la vittima ha problemi di natura fisica o mentale - ma il procedimento viene sospeso se il condannato sposa la vittima. Il parlamento, finalmente tornato operativo con l’elezione di Michel Aoun a presidente della Repubblica dopo un vuoto di oltre due anni, sta discutendo se eliminare l’articolo 522 della legge, quello appunto della scappatoia matrimoniale.Non sarà facile, come fa osservare Hayam, una delle dodici donne vestite da sposa che si sono date appuntamento ieri sotto il palazzo del parlamento, vicino alla piazza dei Martiri, per chiedere la modifica della legge: « Immaginatevi che una donna debba sposare l’uomo che l’abbia messa incinta con uno stupro: cosa dovrebbe dire a suo figlio? Tuo padre è l’uomo che mi ha stuprata e con cui vivo? - ha detto Hayam - Siamo qui con lo striscione ‘ il bianco non copre lo stupro’ e abbiamo chiesto di essere ricevute, perché se loro non si mettono nei nostri panni non possono capire » . Lo stupro è un crimine molto diffuso in Libano, che ha fatto registrare un’impennata con l’enorme afflusso di profughi dalla Siria. In un report di Amnesty International si legge che nelle città e nei villaggi le donne siriane sono costrette a subire violenza sessuale « da chi affitta loro posti dove dormire, dai datori di lavoro e anche dalla polizia » . Ma non sono solo le donne costrette alla povertà, lontane dal loro Paese senza più una casa e dei diritti, a subire violenza di genere. Nel luglio scorso lo stupro di una sedicenne da parte di tre suoi amici a Dahr al- Ain, città del Libano del Nord, è diventato un caso. Mentre gli attivisti e alcuni politici chiedevano una « punizione esemplare » per i tre ragazzi, la reazione fra i cittadini era di indifferenza, spalleggiati anche dai giornali che, riportando il nome della vittima e la sua condizione di orfana di madre, avevano sottoposto lei e la famiglia alla gogna pubblica. Ancora più indicative le parole del parlamentare cristiano Elie Marouni: « Alcune volte dovremmo chiederci se le donne non abbiano responsabilità nello spingere gli uomini a violentarle » .
È questa la cornice che spiega perché il Libano non riesca a cancellare l’infamia dell’articolo 522 e a non pensare a una legge che punisca gli stupri all’interno del matrimonio, altro crimine molto comune. La mediazione che si ipotizza è quella di lasciare ai familiari della donna abusata la possibilità di chiedere un matrimonio: « La donna diventerebbe una vittima quotidiana, costretta a condividere casa con chi l’ha violata, sarebbe come essere violentata ogni giorno » ha detto Ghida Anani, leader dell’ong Abaad, che lotta contro gli stupri e la pratica delle spose bambine.
ANDREA MILLUZZI