PHOTO
Chissà se è stata Fly me to the moon di Frank Sinatra ad ispirare Elon Musk nella sua corsa a Marte e più in generale allo spazio, la curiosità di sapere com’è la primavera sul pianeta rosso potrebbe aver rappresentato la scintilla, tramutatasi anni dopo nell’esplosiva iniezione del primo vettore, parzialmente riutilizzabile, Falcon Heavy di Space X, lanciato in orbita il 6 febbraio 2018 dalla base Nasa di Cape Canaveral. Il lancio rappresentò un punto di svolta nella storia recente dell’esplorazione spaziale oltre ad un incredibile spot per Tesla, il razzo infatti trasportò una Tesla Roadster guidata dal manichino ‘Starman’, destinata a raggiungere l’orbita di Marte. Sembrerebbe però, secondo quanto sostenuto dall’astronomo Jonathan Dowell, che l’auto, forse per una svolta sbagliata, sia finita a orbitare intorno al sole.
L’originale trovata dell’eccentrico miliardario ha sollevato più di un quesito sulla disciplina giuridica dello spazio. Come fu per il Nuovo Mondo nel XVI secolo, i giuristi odierni si trovano di fronte alla sfida di regolamentare una nuova dimensione suscettibile d’influenza politica e sfruttamento economico. Grazie all’inarrestabile progresso tecnologico lo spazio assume ogni giorno maggior importanza e interesse non solo per scienziati e sceneggiatori. Una volta prerogativa delle agenzie statali come la Nasa, l’esplorazione spaziale è sempre più prerogativa dei privati, come il citato Musk, con i suoi oltre 8mila satelliti Starlink in orbita, o Jeff Bezos con la sua Blue Origin, che di recente ha mandato in orbita un equipaggio tutto al femminile, per una gita in orbita di dieci minuti che ha fatto molto discutere.
Il turismo spaziale in realtà non è che uno spot, una dimostrazione di potenza delle compagnie private che si sfidano nella corsa agli astri. Corsa che ha fondamenti politici ed economici. Gli stessi che hanno portato gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica a sfidarsi per metà del secolo scorso a forza di lanci di satelliti e conquista dei corpi celesti. Proprio per evitare che questa sfida si tramutasse in un conflitto, il 27 gennaio 1967 Usa e Urss, insieme alla Gran Bretagna stipularono il Trattato sullo spazio extra atmosferico. Il Trattato, composto da 17 articoli, ha gettato le basi del diritto internazionale dello spazio. All’art. 2 viene sancito il divieto per le nazioni di rivendicare la sovranità l’uso o l’occupazione con qualsiasi mezzo dei copri celesti, stabilendo così l’assenza di sovranità territoriale nello spazio.
Il divieto, letto in combinazione con l’art.1 che stabilisce il libero uso e accesso allo spazio, rimarca il carattere di res communis omnium dello spazio. L’art.4 invece prevede l’uso pacifico dello spazio, vietando l’installazione e l’utilizzo di qualsiasi arma di distruzione di massa o la costruzione di basi militari. Al trattato in parola ne sono seguiti altri, l’Accordo sul salvataggio e recupero degli astronauti e degli oggetti spaziali, sempre del ’67, la Convenzione per la responsabilità internazionale su danni causati da oggetti spaziali del ‘72, la Convenzione sull’immatricolazione degli oggetti lanciati nello spazio del ‘74 e l’Accordo sulle attività degli Stati sulla Luna del ’78, che presi tutti insieme costituiscono il Corpus Iuris Spatialis.
L’ultimo Accordo, noto come Trattato sulla Luna, ha goduto di poca fortuna, ratificato da soli 18 paesi non è stato firmato dai tre Stati più impegnati nei lanci spaziali, Usa, Russia e Cina, finendo così per assumere un’importanza minima nel diritto internazionale. Nato come aggiornamento del Trattato sullo spazio extra atmosferico del ’67 per adeguarlo al progresso tecnologico che avrebbe rischiato di renderlo obsoleto, è stato citato da Trump nel 2020, che lo ha definito «un tentativo fallito di limitare la libertà d’impresa».
Il Trattato del ’67 infatti non contiene alcun riferimento all’uso commerciale o allo sfruttamento delle risorse spaziali. L’art. 6 del Trattato fa però un riferimento indiretto alle società private, individuate come attori non statali. Questi, secondo il disposto dell’articolo in parola, necessitano dell’autorizzazione dello Stato e le loro attività devono essere oggetto di continua supervisione. Inoltre gli Stati devono assumersi la responsabilità per le attività svolte nello spazio da soggetti privati. Soggetti sempre più interessati allo spazio e alle sue risorse. Nel ’67 i partecipanti alla corsa per lo spazio erano due: Usa e Urss, oggi si contano più di 90 paesi che operano nel cosmo e sempre più compagnie private volgono lo sguardo oltre lo zenit.
L’economia spaziale nel 2021 è arrivata a valere 469 miliardi di dollari, nel 2022 è cresciuta fino a raggiungere i 546 miliardi di dollari. Forse immaginando gli sviluppi che avrebbe portato il progresso tecnologico e la consapevolezza che un giorno i privati avrebbero affiancato gli stati nello spazio che venne stipulato il citato Accordo sulla Luna. Questo infatti rispetto allo sfruttamento delle risorse spaziali sulla Luna e sugli altri copri celesti, all’art. 11 dispone: “la Luna non è soggetta ad appropriazione nazionale da qualsiasi rivendicazione di sovranità, mediante uso o occupazione, o con qualsiasi altro mezzo”, specificando che “né la superficie né il sottosuolo della luna, né alcuna parte di essa o le risorse naturali esistenti, diventeranno proprietà di qualsiasi Stato, organizzazione internazionale intergovernativa o non governativa, organizzazione nazionale o entità non governativa o di qualsiasi persona fisica”.
La qualificazione giuridica della Luna e degli altri corpi celesti come patrimonio comune dell’umanità stabilita dall’Accordo è probabilmente la ragione principale del mancato successo dello stesso. L’art. 11 dell’Accordo prevederebbe quindi la creazione di un’organizzazione internazionale dedicata all’amministrazione delle risorse dell’intera comunità internazionale, prospettiva probabilmente poco allettante per le compagnie private allettate dalle grandi quantità di risorse custodite da pianeti ed asteroidi...
Al fine di superare le difficoltà del diritto internazionale dello spazio e fronteggiare la diffusione di singole legislazioni nazionali a riguardo, nel dicembre del 2014 è stato costituito all’Aja lo Space Resources Governance Working Group, a cui è affidato l’annoso compito di affrontare le incertezze giuridiche in materia di sfruttamento delle risorse presenti nello spazio. La presenza di sempre più soggetti privati, spinta dal progresso tecnologico, e le tensioni geopolitiche sulla terra richiedono forse un aggiornamento del Corpus Iuris Spatialis, che tenga conto delle iniziative degli ormai numerosi Stati per la regolamentazione dell’estrazione di risorse minerarie nel cosmo, al fine di evitare che lo spazio diventi un nuovo Far West.