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Prostituzione
Il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez ha rilanciato, domenica scorsa, dal palco di Valencia, dove si è svolto il congresso del suo partito, un tema a cui tiene molto, all’ordine del giorno da almeno due anni. Nel 2019, il PSOE, infatti, ha inserito nel suo manifesto elettorale di allora un impegno descritto come imprescindibile: lo sradicamento completo della prostituzione. In quel frangente venne portata avanti una campagna tutta diretta alle donne. La prostituzione infatti nelle parole del leader socialista venne descritta come «uno degli aspetti più crudeli della femminilizzazione della povertà e una delle peggiori forme di violenza». Da parte del partito Popolare la posizione venne vista come pura speculazione elettorale per attrarre l’elettorato femminile. Chiaramente, al di la delle schermaglie tra governo e opposizione, il problema sussiste ma fino ad ora nessuna iniziativa parlamentare, nonostante le promesse, in questo senso era stata messa sul tavolo. Nel 1995 in Spagna la prostituzione è stata sostanzialmente depenalizzata, ad oggi sono previste sanzioni solamente per protettori e sfruttatori. Non vengono colpite infatti le donne o gli uomini che offrono prestazioni sessuali a pagamento purché non lo facciano in luoghi pubblici. Nelle intenzioni del premier spagnolo invece ci sarebbe la volontà di punire (probabilmente solo con multe salate) anche i clienti. Al di là dell’iter parlamentare di una simile iniziativa che si preannuncia in salita, sono le dimensioni del fenomeno che fanno presagire pesanti difficoltà e una mancanza di realismo. A cominciare da come agire sui quasi 1400 club dove si svolge la prostituzione e che in qualche modo dovrebbero essere chiusi. I dati resi noti dall’Onu a chiariscono ancora di più che le buone intenzioni non basteranno. Nel 2016 le Nazioni Unite hanno stimato che l'industria del sesso del paese valesse 3,7 miliardi di euro, da alcune inchieste giornalistiche come quella dell’agenzia di stampa EFE è emerso che il traffico sessuale genera ogni giorno 7-8 milioni di euro, una cifre che posiziona la Spagna come il terzo centro mondiale della prostituzione, dopo la Thailandia e Portorico. L'industria è esplosa dalla sua depenalizzazione e si stima che attualmente circa 300mila donne lavorino in questo campo. Un mercato che ha presto attirato gli appetiti delle mafie internazionali per altro già presenti sul territorio. Il volume di affari nasconde una realtà che va oltre il dibattito politico e che riguarda il complesso economico della Spagna. Le forze di Polizia e gli istituti di ricerca sociale hanno messo in luce come la decisione di offrire prestazioni sessuali a pagamento raramente è una libera scelta, il 95% delle donne sono forzate dalle organizzazioni criminali impegnate ad incrementare i guadagni del vorticoso giro di denaro. Non solo attraverso minacce o pressioni di ogni tipo, la pandemia di Covid 19 ha aggravato condizioni socio economiche di larghi strati della popolazione e sono proprio le donne a risultare le più colpite e costrette a cedere ai ricatti di sfruttatori senza scrupoli. A tutto ciò corrisponde una cultura maschile “machista” che ritiene naturale pagare per poter disporre di un corpo femminile a proprio piacimento. Un sondaggio del 2009 ad esempio ha rilevato che quasi un uomo spagnolo su tre aveva pagato per fare sesso. Ora bisognerà seguire l’evoluzione delle trattative e dei compromessi tra il PSOE e i loro alleati di governo di Unida Podemos. I partner di sinistra infatti ritengono l’attuale normativa un baluardo sufficiente contro lo sfruttamento delle donne e sono attestati sulla linea antiproibizionista di maggiore contrasto agli sfruttatori più che a sanzioni per i clienti. In ogni caso non guadagnare consensi l’adozione del modello dei paesi nordici europei che ha regolarizzato la prostituzione come un lavoro pressoché legale a tutti gli effetti con una conseguente normativa fiscale.