Le fiamme divorano ogni cosa, sospinte e alimentate dai venti di Sant’Anna che provengono dalle parti interne del continente e soffiano a 160 chilometri orari, furibondi come un uragano. Sono le folate calde e secche del deserto, che asciugano la vegetazione e preparano il terreno all’avanzata dei roghi. Cinque immensi fronti di fuoco che da giorni assediano e tagliano l’area metropolitana di Los Angeles e che nessuno riesce a domare.

«L’incendio è incontrollabile, non ne abbiamo né gli uomini, né i mezzi sufficienti», ammette sconsolato Anthony Marrone, coordinatore locale dei pompieri. Il problema è che non c’è acqua, o meglio non ce n’è abbastanza come ha spiegato alla Bbc Jay Lund, professore di ingegneria ambientale all'Università della California: «I serbatoi d'acqua di Los Angeles sono progettati per combattere gli incendi localizzati nelle case, non negli spazi aperti e nelle contee meridionali le riserve idriche hanno un’efficienza di poche ore al giorno». Anche il supporto aereo dei canadair si sta rivelando pressoché simbolico; l’altezza delle fiamme impedisce ai velivoli di entrare in azione.

Il bilancio degli incendi più devastanti della storia della California è fin qui drammatico: dieci morti, un centinaio di feriti, 10mila abitazioni incenerite, 130mila persone sfollate e danni per oltre cinquanta di miliardi di dollari, cifre destinate a lievitare nel corso delle ore se i venti di Sant’Anna non si placheranno.

L’incendio avanza con ferocia lungo le aree un tempo lussureggianti di Santa Monica, aggredisce i quartieri di Bel Air e Beverly Hills resi famosi da film e serie tv, si mangia le abitazioni dei vip di Hollywood, gli attori. Mel Gibson, James Woods e Billy Crystal, Milo Ventimiglia, l’ereditiera Paris Hilton, fuggiti in preda al panico assieme alle altre migliaia di residenti.

Le immagini lunari di Sunset boulevard, il celebre viale del tramonto immortalato da Billy Wilder e ritrovo di artisti e star di ogni genere, sono tra le le più impressionanti, ricordano le macerie di Aleppo o le devastazioni nella Striscia di Gaza: una delle aree più ricche e suggestive del pianeta è stata ridotta a una zona di guerra, la fabbrica dei sogni che diventa un incubo di fuoco. E come in una zona di guerra, dopo il passaggio delle fiamme, si moltiplicano i saccheggi e lo sciacallaggio sui beni rimasti intatti.

L’ultimo studio realizzato dall’Università di Berkley sull’impatto che il riscaldamento globale pubblicato questa settimana dalla prestigiosa rivista Nature ha indicato il più prospero Stato dell’Unione anche come il più vulnerabile a causa dei frequenti “colpi di frusta meteorologici” durante i quali si verifica un improvviso cambiamento tra condizioni estremamente umide ed estremamente secche.

Un fenomeno che si presenta regolarmente almeno dal 2015 e che ha marchiato con il fuoco tutta la parte meridionale della California. Dopo decenni di siccità, ci sono stati infatti alcune annate con piogge molto abbondanti: meno di dodici mesi fa, la California meridionale era sommersa dall’acqua a causa delle precipitazioni torrenziali iniziate a dicembre e che raggiunsero il culmine all’inizio di febbraio, allagando le strade di Los Angeles, con tempeste che innescarono decine di frane. Poi il colpo di frusta e il ritorno al clima desertico. Queste improvvise variazioni climatiche hanno portato a una crescita esponenziale della vegetazione che oggi alimenta a dismisura l’estensione delle fiamme.

L’allerta resta elevatissima anche nella zona a sud di San Diego vicino al confine con il Messico, dove le condizioni meteo estremamente secche potrebbero favorire nuovi, giganteschi fronti di fuoco; secondo le autorità, potrebbero essere ancora più imponenti di quelli che da giorni interi stanno sfregiando Los Angeles.