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Un soldato russo di 19 anni, Artem Antonov, originario del Tatarstan, è stato ucciso da un tenente dopo essersi rifiutato di combattere nella regione di Kursk, in parte controllata dall’esercito ucraino. L’incidente, riportato dal sito d’inchiesta indipendente russo Istories, è avvenuto il 21 ottobre nel campo di addestramento Ilyinsky. Secondo quanto emerso, il tenente avrebbe tolto la sicura a un fucile d’assalto AK-12 durante un briefing e aperto il fuoco. Uno dei proiettili ha colpito Antonov alla testa, uccidendolo sul colpo.
La famiglia: “Un omicidio legato al rifiuto di combattere”
La versione ufficiale dell’esercito non convince i familiari di Antonov, secondo i quali il giovane si era opposto alla firma di un contratto per essere inviato in zona di combattimento. Una parente ha dichiarato: “Siamo certi che tutto sia iniziato con il suo rifiuto. Artem aveva confidato agli amici che i soldati venivano sottoposti a pressioni costanti”. I parenti sostengono inoltre che il giovane sia stato vittima di torture: “Lo hanno umiliato, picchiato per otto giorni consecutivi e privato di cure mediche. Lo colpivano con spranghe di ferro su mani e collo”. Questi dettagli sarebbero stati condivisi da Antonov in un gruppo social privato, che sarebbe stato eliminato subito dopo la sua morte. Artem è deceduto il 21 ottobre, ma i familiari sono stati informati solo due giorni dopo, il 23 ottobre, e ritengono che si sia tentato di insabbiare l’accaduto.
Quando il corpo è stato restituito alla famiglia, sono stati riscontrati non solo il foro di un proiettile sulla fronte, ma anche numerosi lividi su tutto il corpo. I parenti affermano di conoscere l’identità del tenente responsabile, ma hanno paura di renderla pubblica.
Una vita interrotta troppo presto
Artem Antonov era stato arruolato nel luglio 2024 nel villaggio di Verkhniy Uslon, nel Tatarstan, e inviato subito a prestare servizio a Ussurijsk, un punto di partenza per i militari destinati alla regione di Kursk. Nei necrologi pubblicati sulle comunità locali di Vkontakte, si legge che il giovane avrebbe "dato la vita per la patria", una frase che i parenti trovano dolorosamente lontana dalla realtà.
Artem aveva grandi progetti per il futuro: desiderava diventare fotografo una volta terminato il servizio militare. Nel frattempo, lavorava come saldatore e asfaltatore per mantenersi e si era persino pagato le lezioni di guida, riuscendo a conseguire la patente poco prima di essere arruolato.