L’Unione nazionale delle Camere civili (Uncc), presieduta da Antonio de Notaristefani, si riunisce da oggi fino al 7 maggio a Rimini per l’ottavo congresso nazionale. Nella tre giorni riminese verranno rinnovate le cariche dell’associazione più rappresentativa dei civilisti italiani. L’evento consentirà ad avvocati, esponenti delle istituzioni e della politica nazionale di confrontarsi sul futuro della giustizia e sulle riforme che stanno prendendo forma.

Presidente de Notaristefani, l’ottavo congresso si svolge in un momento storico per l’avvocatura e per la giustizia civile, considerate le riforme in cantiere. Cosa ne pensa?

Credo che per la prima volta, da oltre venti anni a questa parte, ci troviamo di fronte ad interventi sulla giustizia molto importanti. Le riforme riguardano il civile, il penale, l’ordinamento giudiziario, il Csm. Le trasformazioni stanno interessando l’intero mondo della giustizia. Adesso è difficile dare un giudizio completo e definitivo, considerato che gran parte del lavoro è ancora in corso. Io stesso faccio parte di uno dei gruppi ministeriali, quello sulla riforma del giudizio di appello e Cassazione. Sicuramente gli interventi previsti sono molto importanti. E come succede in questi casi si possono intravedere luci e ombre. La sensazione che si avverte è che, forse, sta cambiando la visione della giustizia civile. Per molti anni questa badava molto al dettaglio di ogni singolo processo. Nel futuro prossimo non sarà, probabilmente, più così, nel senso che la giustizia si sta industrializzando. A caratterizzarla sono procedimenti di carattere aziendalistico con una maggiore attenzione all’organizzazione che non agli aspetti dei singoli processi. Questa situazione presenta dei vantaggi e degli inconvenienti.

Quali?

Il vantaggio è che si andrebbe incontro a tempi più rapidi. I tempi sono stati sempre il problema maggiore che ha contraddistinto il processo civile. Per quanto riguarda gli inconvenienti mi ricollego alla visione di tipo aziendalistico, richiamata prima. L’equilibrio tra una sentenza giusta e una sentenza pronta è molto difficile da raggiungere. Fino a oggi si è rivolta molta attenzione soltanto all’equità dei processi. Adesso si sta dando forse troppa attenzione all’efficienza dei processi. Non sono certo che l’equilibrio che si raggiungerà potrà essere soddisfacente.

Quali aspettative avete voi civilisti dalle riforme e quale impatto potrebbero avere nella vita professionale, dato che le attività si stanno spostando sempre di più al di fuori dei Tribunali?

La quotidianità dei Tribunali i civilisti la continuano a vivere, nonostante una pandemia scandita da trattazioni scritte. Poche udienze in videoconferenza e molte udienze a trattazione scritta, è questa la realtà. Uno dei grandi problemi della giustizia civile è l’esasperazione del formalismo. Nei processi si passa gran parte del tempo a discutere non su chi ha ragione e chi ha torto, ma sulla più o meno corretta applicazione delle regole processuali. È un vizio tipicamente italiano. All’estero troviamo una visione molto più sostanzialistica della giustizia civile. Io non ho la tentazione di dire che l’intervento che si preannuncia sarà risolutivo. Il mio timore è che continueremo a vedere migliaia e migliaia di sentenze sulla forma degli atti e non sulla sostanza di ragioni e torti. Spero di sbagliarmi. Ma se non dovessi sbagliarmi, se davvero il formalismo resterà un’esasperazione della giustizia civile, anche gli interventi previsti saranno destinati a naufragare.

L’Ufficio del processo riuscirà a migliorare le cose nella giustizia civile?

Si tratta di una forma di organizzazione collettiva nella gestione dei processi. L’idea dell’Ufficio del processo è sicuramente condivisibile. Fornire ai magistrati una struttura di supporto e aiutarli nel loro lavoro ha la sua utilità. Vi sono, però, da parte mia due perplessità. La prima riguarda la durata. Dovrebbe essere uno strumento a lungo termine, ma, avendo una durata biennale, si rischia di vanificare tutto lo sforzo organizzativo e lavorativo dei giovani impiegati nell’Udp. La seconda perplessità riguarda l’affidamento a personale, in larga misura privo di esperienza, di un segmento del procedimento di decisioni delle cause. Nella legge delega gli addetti all’UdP possono predisporre bozze di provvedimenti. Questo fa sorgere delle perplessità. Cosa penseranno i cittadini nel momento in cui dovessero scoprire che la bozza della sentenza, che magari li ha condannati, è stata predisposta dagli addetti all’UdP e non dal giudice?

La giustizia penale fa sempre notizia. Non ci si rende conto invece dell’importanza e dell’impatto che ha la giustizia civile nella vita quotidiana di tutti i cittadini. Si tratta di un approccio superficiale?

La giustizia penale sicuramente ha un impatto emotivo più forte anche perché è molto presente sui mezzi di comunicazione. Nessuno si appassiona per le questioni condominiali. Però, va detto, per dare una dimensione dell’impatto di cui stiamo parlando, che le questioni condominiali rappresentano il 28 per cento di tutti i processi che esistono in Italia. La realtà è che la giustizia civile fa poca notizia, ma è quella che incide veramente sulla vita dei cittadini. La giustizia civile presenta un’emotività minore. Ciò rappresenta un inconveniente perché finisce pure per essere destinataria di minori risorse, ma consente anche maggiore equilibrio nella gestione dei processi. Almeno fino ad oggi nell’ambito dei processi civili il rapporto tra i protagonisti, parti, avvocati e giudici, è equilibrata. Gli scontri furibondi, tipici della giustizia penale, da noi non ci sono. E questo è sicuramente un bene, perché consente di raggiungere soluzioni più equilibrate. A volte, essere sotto i riflettori quando si decide sul destino delle persone può non essere una cosa positiva. Avere una posizione più defilata consente, forse, maggiore ponderazione.

Come vede il futuro della professione forense anche in riferimento alla sempre maggiore presenza dei temi legati alla giustizia predittiva e dell’intelligenza artificiale?

Il rapporto sull’avvocatura, pubblicato da Cassa forense, sembra un bollettino di guerra. Pensiamo al reddito in calo degli avvocati e alle cancellazioni dagli albi di migliaia di colleghi. Probabilmente al nostro interno c’è stata una ipertrofia degli albi che ha pregiudicato un po’ tutti. Una riqualificazione della professione, anche attraverso strumenti come le specializzazioni, potrà riaprire grandi spazi. Credo poco a un utilizzo, almeno nel breve termine, degli strumenti legati all’intelligenza artificiale e alla giustizia predittiva. In proiezione potranno essere validi strumenti di supporto, ma l’idea che l’attività di noi avvocati possa essere sostituita da strumenti tecnologici non mi convince. La nostra attività non è fatta solo di conoscenze tecniche. Si basa anche sull’esperienza, sulle capacità, sui rapporti con il mondo della giustizia, non solo su risposte a quesiti di carattere tecnico. Nella professione ci sarà sempre spazio. Ancora di più per i giovani capaci. Le specializzazioni serviranno a fare una selezione utile per il funzionamento in generale della giustizia.