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Il vessillo della milizia è un fucile d’assalto Ak- 47 nero in campo rosa, lo slogan sembra una provocazione situazionista: «Questi froci uccidono i fascisti». L’obiettivo è chiaro, stanare e combattere a fianco dei curdi dell’Ypg i jihadisti dell’Isis negli ultimi avamposti siriani, in particolare nella regione di Raqqa, la “capitale” del sedicente Califfato dove la guerra imperversa da mesi.
TQILA ( si pronuncia come il celebre distillato messicano) è la nuova unità militare creata dagli anarchici dell’International Revolutionary People’s Guerrilla Forces ( IRPGF), una delle tante composte da volontari stranieri ma anche guerriglieri locali o provenienti dal mondo arabo. Con una specificità: i suoi membri appartengono tutti alla comunità Lgbtqi ( lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer e intersessuali), tra le vittime predilette della ferocia integralista di Daesh ( l’Isis in lingua araba) che in tre anni di brutale controllo dei territori siro- iracheni ne hanno uccisi e torturati a migliaia.
«Vogliamo lottare contro la binarietà dei generi e far progredire la rivoluzione sessuale mondiale, non possiamo più restare passivi di fronte alle persecuzioni dei fanatici jihadisti» si legge nella pagina Twitter della milizia. Il portavoce di TQUILA, il curdo Heval Rojhilat, racconta al settimanale britannico Newsweek ( che lo ha contattato tramite posta elettronica) la rabbia e lo sconcerto provato in questi anni nell’assistere impotente alla repressione degli omosessuali da parte dei seguaci di Abu Bakr al- Baghdadi: «Le immagini degli uomini gay lanciati dai tetti a Raqqa non era qualcosa che potevi osservare in silenzio, senza alzare un dito. Se vuoi difendere la tua identità, fare la guerra all’Isis è il punto più alto della tua lotta, l’autodifesa è un dovere della nostra comunità».
Se l’omosessualità viene generalmente stigmatizzata e a spesso punita nelle società musulmane in cui rimane un grande tabù, sotto il dominio nichilista di Daesh le corti islamiste hanno condannato a morte un numero incalcolabile di persone con l’accusa di sodomia e blasfemia, giustiziandoli con i metodi più crudeli e più inumani: persone gettate nel vuoto, lapidate sulla pubblica piazza, impiccate ai pali della luce con i cadaveri lasciati marcire nelle strade come sinistro monito alla popolazione. I più fortunati sono riusciti a lasciare in tempo il nord della Siria.
Un fanatismo assassino che è riuscito a varcare anche i confini del “Califfato” come nel caso di Omar Mateen, autore nel giugno 2016 del massacro alla discoteca Pulse di Orlando ( Florida), abituale luogo di ritrovo per la comunità gay, in cui persero la vita 49 persone: nella sua telefonata al 911 in cui rivendica l’attentato, Mateen afferma poi di essere un «soldato dell’Isis». Con ogni probabilità l’omicida di Orlando è solo uno squilibrato che non ha nes- sun legame con la “casa madre”, ma Daesh ha colto la strage al balzo facendone una delle pietre miliari della sua guerra santa contro l’Occidente degenerato e infedele. Solo le forze curde potevano ospitare e supportare un’esperienza simile; in un Medio Oriente dominato dai governi ultraconservatori, dai fondamentalisti islamici e da i vincoli tribali dei villaggi, il Rojava ( Kurdistan siriano) sembra una piccola grande oasi di libertà.
Emarginati dal regime baahtista di Damasco, dopo aver respinto le forze governative nel 2012 i curdi siriani sono riusciti a mettere in piedi un nuovo ordine sociale relativamente pacifico e stabile in tutta la regione. Se le unità di donne combattenti dell’Ypg conquistano da anni le prime pagine dei media di tutto il mondo a testimoniare l’ampiezza di vedute dei fighterts curdi, ora anche i miliziani di TQUILA si affiancano a questi eserciti plurali e democratici in lotta contro le bandiere nere del Califfo e, chissà, per la costruzione di una società diversa.
«Stiamo combattendo nei quartieri di Raqqa che presto verrà liberata dal giogo dei fanatici», tuona con fervore Rojihilat al Newsweek senza rivelare nulla di come si sta muovendo la sua unità sul campo di battaglia «per ragioni di sicurezza». Di certo la milizia Lgbtqi si sente accettata a pieno titolo dai navigati guerriglieri del Ypg anche se, continua Rojihlat, «c’è ancora qualche resistenza e quialche scetticismo da parte delle componenti più feudali e tradizionaliste della società curda».
Durante l’addestramento cominciato lo scorso aprile i membri di TQILA hanno discusso a lungo con i comandanti di «questioni di genere», trovandosi di fronte persone intelligenti e senza pregiudizi: «È straordinario parlare di questi temi in un contesto difficile come quello della guerra, ma siamo dentro a un conflitto che può ispirare una nuova rivoluzione che sarà bella come una rosa ma avrà anche spine robuste per difendersi dai suoi nemici».