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Quando Glynn Simmons ha varcato la soglia della prigione di Oklahoma city era il 1975: alla Casa Bianca sedeva Richard Nixon, all’Eliseo Valery Giscard d’Estaing, in Italia Aldo Moro era presidente del consiglio per la quarta volta e a Madrid, il 20 novembre, moriva il dittatore Francisco Franco.
Simmons aveva 25 anni ed era stato individuato come colpevole dell’omicidio di Carolyn Sue Rogers, la titolare di un negozio di liquori di Edmond uccisa durante una rapina avvenuta l’anno precedente. Lo aveva “riconosciuto” da una testimone presente nel locale ma lui ha sempre negato di essere mai entrato in quel negozio e che, al momento del delitto, si trovava addirittura a New Orleans a migliaia di chilometri da Edmond; inoltre la testimone aveva indicato anche altre persone come possibili autori dell’omicidio, una circostanza che non è mai stata rivelata alla giuria popolare e ai suoi avvocati.
Così, al termine del solito processo sciatto e speditivo, Simmons è stato condannato a morte, pena commutata in ergastolo nel 1977 in seguito a una sentenza della Corte suprema. Dopo 48, un mese e 18 giorni anni trascorsi dietro le sbarre, il che costituisce il più longevo errore giudiziario nella storia degli Usa, il giudice distrettuale Amy Palumbo ha stabilito che Simnons è un uomo innocente, una vittima della malagiustizia: «Questa corte ritiene con prove chiare e convincenti che il reato per il quale il signor Simmons è stato giudicato colpevole, condannato e imprigionato... non è stato commesso da lui», ha detto Palumbo.
Lo scorso luglio, sollecitato dalla procuratrice distrettuale Vicky Zemp Behenna, Palumbo ha annullato la sentenza concedendo a Simmons la libertà sotto cauzione. Behenna aveva infatti riaperto il fascicolo notando diverse incongruenze e palesi violazioni del diritto di difesa, in particolare prove importanti che scagionavano l’imputato e mai consegnate al collegio difensivo in quanto decine di testimoni potevano certificare che l’uomo al momento dell’omicidio di Rogers si trovava effettivamente in Louisiana. Prove che non solo avrebbero portato all’assoluzione immediata ma che non avrebbero nemmeno permesso l’apertura di un processo penale a suo carico.
Mercoledì scorso con il verdetto di proscioglimento l’incubo è finito anche se nessuno potrà mai restituire a Simmons gli anni che lo Stato gli ha rubato, ovvero la gran parte della sua vita. L’avvocato Joe Norwood afferma che il suo cliente ora ha diritto a un risarcimento di almeno 175.000 dollari, precisando che verrà intentata una causa federale per ottenere giustizia ma ci vorranno probabilmente diversi anni. Norwood ha poi spiegato che il 71enne Simmons, a cui è stato recentemente diagnosticato un cancro al fegato, non ha un lavoro ma può sostentarsi e pagare le costose cure per la chemioterapia in gran parte grazie alle donazioni effettuate attraverso una piattaforma di crowdfunding online che da anni si occupava del suo caso.
«È stato privato dell'esperienza lavorativa e della possibilità di avere una carriera in cui potevi proteggere finanziariamente te stesso e la tua famiglia. Tutto questo gli è stato portato via, ora deve essere risarcito».
Molto pacate e del tutto prive di risentimento le parole del protagonista, che nei giorni scorsi ha rilasciato diverse interviste ai media locali e nazionali: «È stata una lunga lotta, fatta di resilienza e tenacia, ma ora sono felice, sono un uomo libero. Di sicuro dobbiamo ripensare il nostro sistema giudiziario e il modo in cui funziona, ormai sono anziano e malato ma voglio sfruttare il tempo che mi rimane per aiutare chi si trova nelle mie stesse condizioni per fare in modo che simili errori non si ripetano».
Simmons è la 195esima persona prosciolta dopo essere stata condannata a morte dal 1973, e l'undicesima nell’Oklahoma, uno degli Stati più negligenti riguardo agli standard di imparzialità, in particolare rispetto con frequentissime violazioni del diritto alla difesa commesse dalla polizia e dai funzionari di giustizia.