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A causare la morte di Stefano Cucchi ci sono più cause legate tra loro. Ma senza la frattura alla vertebra, causata dal pestaggio in caserma, probabilmente il giovane non sarebbe morto. È quanto ha detto ieri in aula bunker, a Rebibbia, Francesco Introna, medico legale del policlinico di Bari e perito del gip, sentitonel processo bis sulla morte del geometra romano, in merito alla perizia redatta nel 2016 dal collegio di esperti nominati dal gip, nella quale si parla di «morte improvvisa ed inaspettata per epilessia».
Ma la malattia, hanno chiarito ieri i periti, non era «l’unica causa del decesso di Stefano Cucchi. Non abbiamo certezze». Cucchi è morto il 22 ottobre del 2009 all’ospedale Pertini, sei giorni dopo essere stato arrestato dai carabinieri per droga. Per la sua morte sono imputati cinque militari, tre dei quali per omicidio preterintenzionale.
Sono due le ipotesi sul piatto. La prima, non per importanza, ha chiarito Introna, parte da elementi concausali, come «il grave dimagrimento ( 15 chili in 7 giorni), la inanizione marcata, cronica, e la presenza anche di cardiopatie mai emerse» e che «da sole non avrebbero mai portato alla morte il soggetto».
La seconda , invece, è quella di maggiore rilievo, ha spiegato il medico legale, ed è proprio quella che chiama in causa le fratture. Ed «ha un peso maggiore - ha aggiunto - essendo documentata». Si basa sulle «lesioni inferte», ovvero una frattura a livello del rachide lombare e una a livello del rachide sacrale. Quest’ultima, ha spiegato Introna, ha determinato «una vescica neurogena, ovvero una mancata sensazione della vescica» e una sua «dilatazione», con conseguente «riflesso vagale». Situazione che «insieme alla cardiopatia, all’inanizione, alla tossicodipendenza» ha determinato «la morte per un’aritmia».
Ma quanto ha influito sull’evento morte quella frattura? «Se non ci fosse stata la lesione alla vertebra S4 il soggetto, verosimilmente, non sarebbe stato ospedalizzato in quelle condizioni, ovvero immobile nel letto, per problemi connessi alle fratture lombari. Non avrebbe avuto la vescica atonica e neurogena, probabilmente avrebbe avuto uno stimolo alla diuresi». Insomma, senza la frattura «e se il catetere non si fosse inginocchiato o ostruito, verosimilmente la morte del Cucchi non sarebbe accorsa o sarebbe accorsa in un altro momento».
E oggi, dopo 10 anni, secondo la sorella della vittima, Ilaria Cucchi, «è stata detta la verità in un’aula di tribunale», quella che «tutti sappiamo fin dal principio: se Stefano Cucchi non fosse stato vittima di quel pestaggio non sarebbe mai finito in ospedale e non sarebbe molto». «Ora nessuno potrà dire che è morto per colpa propria», ha aggiunto l’avvocato Anselmo.
Diverso il parere di Antonella De Benedictis, difensore di Alessio Di Bernardo, uno dei cinque carabinieri imputati. «Se anche venisse provata la lesione S4 come causa della vescica neurogena, la stessa non si sarebbe distesa e quindi non ci sarebbe stato il globo vescicale, qualora il catetere avesse funzionato correttamente - ha affermato Quindi il problema non è la lesione in sé, ma il malfunzionamento del catetere».