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«La gente è solamente capace di giudicare. Sono innocente». Poche parole su un foglietto per mettere fine alla vergogna e al sospetto. È così A. U., bidella di 64 anni, ha deciso di farla finita, uccisa dall’onta di un’accusa pesantissima: abusi sessuali su una bambina di soli 4 anni, alunna di una delle scuole in cui prestava servizio.
Un gesto estremo che ha compiuto lunedì sera, nella sua casa in provincia di Cagliari, quattro giorni dopo aver ricevuto l’avviso di conclusione indagini. Si aspettava un’archiviazione, convinta che le accuse non avrebbero mai potuto trovare riscontri, ma dopo l’incidente probatorio, durante il quale la bambina ha confermato gli abusi, il pm ha deciso diversamente.
Una storia dai contorni poco chiari, iniziata oltre tre anni fa, tra settembre e novembre del 2014. La bimba si trovava al secondo anno di scuola materna, il primo a contatto con la bidella, quando ha raccontato ai genitori di essere stata toccata in bagno da una collaboratrice scolastica. «Dopo le prime rivelazioni da parte della bambina - spiega al Dubbio il legale della donna, Walter Pani -, i genitori si sono rivolti ad una psicologa dell’Asl, che senza vedere la piccola ha inviato alla Procura una notizia di reato a dicembre 2014». Iniziano così le indagini, con un’accusa tanto delicata quanto pesante, tutta da verificare. I magistrati della Procura di Cagliari hanno subito sentito i genitori, che hanno raccontato agli inquirenti dei cambiamenti nel comportamento della bambina in quell’arco temporale di tre mesi, indicando nella bidella, nel frattempo andata in pensione, la responsabile di tutto. «Sono stati sentiti anche altri genitori, le maestre e i colleghi e tutti hanno difeso a spada tratta la mia assistita sottolinea Pani -, una persona specchiatissima nel lavoro, con 40 anni di esperienza, amata da genitori e collaboratori. Un po’ burbera e severa, ma stimatissima». Nemmeno le intercettazioni ambientali e telefoniche disposte dalla Procura per chiarire la situazione hanno fatto emergere nulla sul comportamento della donna. E le cose non sarebbero andate come avrebbero dovuto, secondo il legale. L’incidente probatorio, infatti, è arrivato molto tempo dotre po la denuncia: dalla segnalazione della psicologa all’esame della bambina da parte del giudice sono passati tre anni. Troppi, denuncia Pani. «Le linee guida, come ad esempio la Carta di Noto del 2011, dispongono che l’interrogatorio protetto avvenga in tempi strettissimi e senza alcuna intervista intermedia - spiega -. In questo caso, invece, la bambina è stata sentita solo a marzo 2017, all’età di 7 anni, quindi, sotto il profilo della maturazione, completamente diversa rispetto all’età dei fatti». Nel corso dell’esame la bambina ha confermato senza esitazione quanto raccontato anni prima, ma il colpo di scena è arrivato nel momento in cui le è stato chiesto di descrivere la bidella incriminata. «Ha parlato di una persona di altezza media, robusta, coi capelli “gialli” e lunghi - racconta l’avvocato -. Ma la mia assistita pesava 45 chili, era alta 1 metro e 50 e ha sempre portato i capelli corti e grigi. La bambina stava quindi parlando di un’altra persona».
Una volta terminato l’incidente probatorio, a dicembre 2017, gli atti sono stati trasmessi al pm che però «non ha ritenuto opportuno eseguire ulteriori accertamenti». Così si è arrivati a giovedì scorso, quando alla donna è stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini. «Le avevo detto che avrei svolto indagini difensive per smontare la ricostruzione fattuale operata dalla bambina, ricostruzione che non ha avuto riscontri esterni che potessero in qualche modo ricondurre alla mia assistita», dice Pani. Ma quelle rassicurazioni non sono bastate. Il declino emotivo della donna era infatti ormai irreversibile. «Prima della comunicazione dell’incidente probatorio, il 24 dicembre 2016, non sapeva nulla di questa storia - spiega ancora -. Quando ha ricevuto quella notifica ha subito il colpo e da quel momento è iniziata una vita di reclusione. Già prima di questa vicenda era una persona riservata, ma dopo questa storia ha smesso di uscire di casa. Aveva attorno a sé il grandissimo calore umano della famiglia: non aveva figli, ma dei nipoti legatissimi a lei. Speravamo fortemente in una richiesta di archiviazione e quando ha visto che non è arrivata, sebbene ciò non escludesse un’archiviazione in seguito, le è crollato il mondo addosso». Di questa scelta estrema, però, non aveva lasciato trapelare nulla. Nessun segno che avesse deciso di mollare tutto. Solo il peso della vergogna che tutto il paese, che pure di questa storia non aveva saputo niente fino al suicidio della sua protagonista, potesse condividere con la Procura quel terribile sospetto.