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Vladimir Putin, presidente della Russia
Sebbene anche Putin definisca guerra e non chiami più Operazione militare speciale l’invasione dell’Ucraina, in Russia dettano legge quelle norme repressive che stanno colpendo pesantemente ogni voce dissenziente in Russia.
Il 4 marzo dello scorso anno, a meno di un mese dallo scoppio delle ostilità, la Duma (il parlamento russo) aveva approvato una legge che riguarda la responsabilità amministrativa e penale a carico di chi e giudicato colpevole di diffusione di notizie false riguardo il comportamento dell’esercito russo. La legge è conosciuta comunemente come discredito delle Forze Armate. Potrebbe sembrare ridicolo in quanto tutte le opinioni contro la guerra potrebbero essere considerate lesive ma in effetti è proprio cosi.
A cominciare dalle pene che variano da sanzioni pecuniarie comprese tra i 30 e i 60 mila rubli (300 e 600 euro). Concretamente le fattispecie di questo reato sono innumerevoli. Per fake news si intende la propria posizione ufficiale (dettata da motivi di odio politico, razziale, nazionale o religioso o di profitto) che fa rischiare a coloro che incappano nella denuncia fino a 50 mila euro oppure la reclusione fino a dieci anni.
Nel caso di reiterazione della violazione le conseguenze possono essere ancora più gravi e arrivare a condanne a quindici anni di galera. Nei giorni immediatamente seguenti all'entrata in vigore della legge si contavano già sessanta fermi, di cui sette condanne a multe salate commisurate agli standard economici dei cittadini comuni russi. Le cronache riportavano i casi limite di un prete ortodosso denunciato per un sermone pacifista e di una donna che aveva scritto No alla guerra sulla neve. La lista si è ulteriormente allungata nel periodo successivo fino ad oggi quando a conflitto acclarato e non più celabile dietro astruse formule dialettiche, ci si aspetterebbe un freno alla furia militarista del Cremlino.
A giudicare dalle notizie che nonostante la censura operata continuano ad arrivare da diverse città della Russia. Si può dunque rimanere impigliati nelle maglie di una legge assurda e tragica nello stesso tempo per una canzone, un poster o un video pubblicato online. A quanto sembra le sanzioni sono quasi quotidiane e i tribunali istituiscono processi lampo ad un ritmo frenetico. Basta prendere in esame gli ultimi giorni. Il 15 gennaio si e aperto un procedimento giudiziario per discredito dell'esercito contro il dj di un locale di Tula (sud di Mosca) che aveva messo su un piatto una canzone ucraina durante gli auguri di Vladimir Putin la notte di Capodanno; Il 17 invece una donna della Crimea, che aveva affisso un manifesto che definiva il suo vicino che combatteva in Ucraina, un criminale di guerra, si e vista confermare la sua condanna a due anni e mezzo di carcere per diffusione di fake news.
Ma ancora, il 20 di questo mese, un autista di camion della Chuvashia, località sulla riva sinistra del Volga, è stato condannato a 30 mila rubli di ammenda (circa 400 euro) perché aveva considerato interessanti, sui social, due video, uno dei quali incentrato sul conflitto ingaggiato da Kiev nelle repubbliche separatiste del Donbass negli ultimi otto anni.
Senza soluzione di continuità, pochi giorni fa a Novosibirsk, un direttore di un istituto tecnico e stato fatto oggetto di controlli da parte della polizia perché inculcherebbe un'educazione pacifista al figlio. Ma non manca neanche la repressione dettata dallo stato di guerra come quella che ha colpito la rappresentante del Consiglio delle mogli e delle madri, un collettivo che difende i diritti dei chiamati alle armi. Arrestata mentre si apprestava a presentare al ministero della Difesa le denunce di settecento donne.