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Nonostante i timori della vigilia - impossibile immaginare un Sanremo senza Carlo Conti - la 68esima edizione fa il boom di ascolti arrivando al 52 per cento di share e battendo lo storico risultato, nella stessa giornata, dello scorso anno.
Eppure, a vedere la serata di martedì, sembra che in questo festival nessuno abbia “la maggioranza assoluta”. Né il direttore tecnico Claudio Baglioni, che ogni volta che sale sul mitico palco ha l’aria di chi è lì per caso ed è anche un po’ scocciato di tutta quella confusione, né Pierfrancesco Favino costretto a un ruolo comico che gli si addice solo a metà. La maggioranza assoluta non la ha neanche Michelle Hunziker. La showgirl svizzera è bravissima nel ruolo di presentatrice, non fa mai un errore, salva tutti dalle brutte figure, ma ha un limite ancora forte in un’Italia che cambia, su questo, molto lentamente: è una donna e, per quanto sia lei la più brava, non basta.
Non avendo nessuno di loro la maggioranza assoluta hanno dovuto chiamare, anche se solo per l’apertura e la chiusura, un presidente esterno, uno che per ragioni diverse ha le carte in regola. Così è arrivato, chiamato dal direttore Baglioni, sempre più nei panni del capo dello Stato Sergio Mattarella, un “presidente del Consiglio” superpartes, un esterno, quasi un tecnico della materia, capace di “salvare” il festival, governarlo, e chissà se la prossima volta non si candida direttamente lui alla guida del festival.
Ma per fare “un governissimo” che vada oltre il 50 per cento non basta un premier fuori dagli schieramenti, uno in grado di rappresentare tutti gli italiani, deve essere adeguata anche la squadra: un mix di giovani e vecchi, nuovo e antico, storia e futuro. Su questo il direttore tecnico Baglioni non ha sbagliato un colpo. I venti cantanti sono in grado di soddisfare tutti i gusti: da Lo Stato sociale ( un pizzico di rivolta ci vuole sempre) alla nostaglia degli ex Pooh, sparpagliati ovunque, al richiamo al territorio con un po’ di milanese ( Enrico Ruggeri), romano ( Luca Barbarossa) e napoletano ( Enzo Avitabile). Certo quest’anno manca il rap, che raccoglie sempre grandi consensi: ma un vero governissimo in fondo è tale, anche e soprattutto, se taglia fuori qualcuno, se le frange estreme restano isolate.
Sui social, quasi sei milioni di interazioni, sono molte le lamentele per la lentezza, la noia, gli sketch che sembrano pensati negli anni Sessanta, i testi ingessati delle canzoni, i protagonisti che in alcuni casi sembrano arrivati dall’oltretomba. Qualcuno ha fatto un paragone con la vecchia Dc. Ma no, questa è un’altra cosa. E la noia è dovuta. Perché un governo tecnico non è chiamato alla rivoluzione, è chiamato a traghettarci senza troppi scossoni verso un’epoca più serena, meno conflittuale.
Fuori dal teatro Ariston, impazza la campagna elettorale con toni che diventano sempre più accesi. Ma a Sanremo, la città dei fiori, si prepara il probabile futuro di un governo che esca dagli scontro frontali, con ministri di diverse estrazioni e con un premier alla Fiorello. Bravo, simpatico, competente ma fuori dall’agone e dalla contesa diretta. Il successo è assicurato. Almeno al festival. In politica forse è un’altra cosa.