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La solidarietà e la vicinanza nei confronti dei prigionieri politici russi possono essere espresse con il mezzo più semplice: una lettera inviata al carcere che li ospita. Carta e penna consentono di esprimere pensieri tra i più disparati e opinioni su quanto sta accadendo nella Russia di Putin anche se ogni parola viene sottoposta ai rigidi controlli della censura.
Con il passare del tempo abbiamo assistito ad una evoluzione dei metodi per far giungere parole di conforto a chi trascorre le giornate dietro le sbarre, dopo una condanna per aver espresso la propria opinione, per esempio, contro la guerra in Ucraina o per aver criticato le scelte del boss del Cremlino. Oltre alle email indirizzate agli istituti penitenziari, ora un più innovativo metodo, che utilizza un canale Telegram chiamato “Svobot” (@svobot_bot), consente di conoscere l’identità dei prigionieri politici, futuri destinatari delle lettere dal mondo libero.
“Svobot”, infatti, presenta una lista di persone detenute per motivi politici con l’indicazione dell’indirizzo del carcere in cui sono recluse. Il bot permette pure di conoscere la data del compleanno per far giungere al dissidente gli auguri. Un altro modo per esprimere solidarietà a chi si è visto negare la libertà per aver espresso le proprie opinioni.
Il giornale online Doxa, fondato nel 2017 da alcuni studenti di economia di Mosca e impegnato nella difesa dei diritti umani, ha pubblicato alcune istruzioni da seguire per evitare, prima di tutto, che le lettere inviate ai prigionieri politici vengano cestinate dalla censura. Si consiglia di non utilizzare mai la parola “guerra”, tra l’altro vietata dal 24 febbraio 2022, data dell’inizio della cosiddetta “operazione militare speciale”.
Vietato usare espressioni offensive nei confronti dei giudici che hanno emesso la sentenza di condanna o di chi dirige il carcere. Ogni opinione politica, soprattutto nei confronti di chi governa, deve essere espressa in “maniera moderata”. Non possono essere disegnati simboli sulle lettere destinate ai detenuti. Vengono, inoltre, consigliate altre regole per scrivere un testo davvero interessante. Chi si trova in carcere è poco informato. Pertanto, può essere utile far riferimento ad alcune notizie di attualità. Si possono indicare alcune vicende umane del mittente per mettere a confronto l’esistenza del prigioniero con quella di chi gli esprime vicinanza; un’occasione per conservare il contatto con la vita che scorre fuori dal carcere e che il detenuto spera di poter riabbracciare. Sono altresì consigliati riferimenti culturali, agli ultimi libri pubblicati, alla musica, alle opere teatrali e alle novità cinematografiche. «È importante – si legge nel vademecum di Doxa - che una persona in carcere riceva emozioni vivide e argomenti su cui si possa discutere e riflettere».
Anche il Centro per i diritti umani Memorial, organizzazione che ha ricevuto due anni fa il Premio Nobel per la Pace, ha predisposto un elenco di prigionieri politici ai quali è possibile inviare lettere in carcere. Iniziative analoghe sono svolte da Ovd-Info, che ha previsto la possibilità di acquistare delle cartoline disegnate da alcuni artisti sulle quali scrivere pensieri da spedire agli oppositori politici. Ovd-Info monitora giorno per giorno le “repressioni criminali per posizioni pacifiste” in Russia. I numeri parlano chiaro. Sono in carcere, per aver criticato la guerra di aggressione ai danni dell’Ucraina, 346 persone. In tutto, fino ad oggi, sono sotto processo 1.109 cittadini russi.
Dmitry Talantov, ex presidente dell’Ordine degli avvocati dell’Udmurtia (una repubblica della Federazione Russa) è stato condannato a fine novembre a sette anni di carcere. Talantov, 63 anni, stimato professionista, padre e marito premuroso, ha difeso il giornalista economico Ivan Safronov, accusato a sua volta di alto tradimento. In alcuni post su Facebook, l’ex presidente degli avvocati dell’Udmurtia non solo ha commentato alcune anomalie del processo che stava seguendo come difensore, ma ha pure criticato le autorità russe in merito alla guerra in Ucraina. Dichiarazioni che gli hanno rovinato la vita. Prima l’arresto, poi il processo durato oltre due anni (con isolamento di identica durata) e, infine, la condanna a sette anni di carcere per violazione dell’articolo 207.3 del codice penale che punisce i cosiddetti “falsi sull’esercito”.
Il difensore di Talantov, Pavel Biianov, ha espresso perplessità in merito alla sentenza pronunciata nelle scorse settimane e ha annunciato di presentare appello. La sentenza è stata definita «crudele, non umana, non giusta». «Il processo a carico del mio assistito – riferisce al Dubbio l’avvocato Biianov - è stato significativo per lo Stato russo nel suo insieme. Riflette una particolare situazione che stiamo vivendo e dimostra che una persona, i suoi diritti e le sue libertà in Russia non sono il valore più alto». Biianov è cauto nell’esprimersi sulla vicenda giudiziaria di Dmitry Talantov, ma al tempo stesso è molto chiaro: «Nella nostra società si raccomanda di rimanere in silenzio. Coloro che cercano di dire la verità possono essere mandati in prigione. Viviamo un momento difficile».