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Non meraviglia che in un sistema politico in cui il modo di eleggere i rappresentanti del popolo può costringere partiti ideologicamente molto lontani a unirsi per dare un governo al Paese, ci si accordi su un numero limitato di ‘ cose da fare’ considerate prioritarie per evitare la bancarotta e scongiurare i pericoli incombenti su una democrazia fragile ( come la nostra). Le intese circoscritte, però, debbono riguardare i mali più gravi che affliggono una comunità politica e non questioni che, per quanto importanti, possono venir demandate a coalizioni di governo più omogenee e più stabili.
Nel caso dell’Italia, il primo problema all’ordine del giorno è sicuramente Roma. Non solo perché, come si dice, ' è la città più bella del mondo', la città italiana più popolosa ( oltre 3 milioni di abitanti) ma soprattutto perché è la Capitale e, in quanto tale, tenuta a dare al mondo un’immagine dignitosa della nostra civic culture.
Ebbene è superfluo ricordare che la questione dei rifiuti sta diventando, per i romani, il problema più drammatico, un fatto vitale. I Presidi minacciano la chiusura delle scuole per evitare agli studenti e al corpo docente i pericoli del contagio; gli ospedali lanciano allarmi sempre più frequenti; interi quartieri sono diventati invivibili per il cattivo odore che emana da cassonetti strapieni; le pantegane scorrazzano per le strade prefigurando scenari da pifferaio di Hamelin dei fratelli Grimm.
Ci sono questioni nazionali più importanti di questa? La domanda è retorica. E tuttavia né la coalizione gialloverde né quella giallorossa, al tavolo delle trattative, hanno messo Roma al primo punto dei provvedimenti da prendere. Sia la Lega, sia il Pd, in città, sono all’opposizione e criticano ogni giorno il governo capitolino, ma nessuno dei due ha imposto al M5S la rimozione di un sindaco che a giudizio di alcuni degli esponenti delle due forze politiche citate, dovrebbe addirittura passare alla storia come il peggiore primo cittadino della capitale.
Nonostante una gestione amministrativa che, per essere blandi, è problematica - e che non ha riscontri con quelle della Lega che a Nord non amministra poi così male metropoli e Regioni in cui il centro- destra è in maggioranza - i grillini a Roma, alle elezioni europee, hanno subito una débacle indiscutibile, attestandosi sul 17%. Basta ricordare che al ballottaggio la Raggi ebbe il 66 per cento dei consensi.
La spugna anticasta della magistratura, squassando la prima Repubblica, ha assicurato ai populisti una rendita di posizione di cui potrebbero e beneficiare ancora a lungo. Per questo, forse, Salvini e Zingaretti hanno temuto, colpendo troppo duro sulla giunta Raggi, di figurare come difensori dell’establishment e della vecchia Roma. In ogni caso, il M5S ha fatto quadrato e la destra prima, e la sinistra dopo, hanno gettato la spugna, per non dover compromettere alleanze e poltrone troppo appetibili. Se questo è vero, però, siamo davvero arrivati al capolinea. Sempre la classe politica ha perseguito i propri interessi - i partiti non sono enti di beneficenza ma stanno tutti sul mercato politico alla ricerca del profitto misurato in voti - ma sforzandosi ( almeno) di farli coincidere col bene della Nazione. Un esempio storico: la politica della casa voluta da Fanfani che fece guadagnare molti voti alla Dc ma diede un’abitazione a migliaia di italiani.
La miseria morale e culturale in cui stiamo sprofondando oggi è dimostrata dal fatto che sia per i verdi che per i rossi ( rosa, arcobaleno etc.) Palazzo Chigi val bene un Campidoglio. Sicché dire a Grillo: nessun accordo se non si risolve il problema di Roma e se la Raggi non porta via le tende, è impensabile. Certo ogni nuovo partner del M5S continuerà a ' denunciare', sulla stampa, nei blog, nelle comparsate televisive, gli scempi che si consumano nella città eterna - parlare, scrivere, sbraitare, sgarbiggiare non costa nulla - ma nessuno oserà metterlo alle strette, col rischio di tornare all’opposizione a Montecitorio e a Palazzo Madama.
E’ questo l’aspetto più desolante della politica italiana di questi anni: il doppiopesismo sfrontato, esibito, diventato quasi un comportamento naturale. Si pensi a cosa succederebbe se alla guida del Campidoglio ci fosse oggi un esponente di Forza Italia ( c’è stato un suo alleato, Gianni Alemanno, un pessimo sindaco, molto discusso ma che non ha toccato il nadir della Raggi): si sarebbero mobilitati contro lo scandaloso malgoverno l’Europa, l’Unesco, l’Onu, il Vaticano etc.
I giornali nazionali ed esteri avrebbero bombardato i lettori con le ultime nuove sulla monnezza ma, soprattutto, il prefetto dell’Urbe avrebbe sciolto la Giunta capitolina in virtù dei poteri conferitigli dalla legge, facendo valere lo stato di necessità e l’emergenza nazionale. E invece nulla di nulla. A reclamare strumentalmente le dimissioni della Raggi è il centro- destra e, in primis, la sua componente ( purtroppo, per me) maggioritaria, la Lega, che non risulta aver fatto su Roma il diavolo a quattro quando era al governo con Di Maio.
Ho scritto, per Paradoxa- Forum le parole su riportate qualche giorno fa: «Nessuno oserà mettere alle strette Grillo sulla Raggi col rischio di tornare all’opposizione a Montecitorio e a Palazzo Madama». Oggi la desistenza imbarazzata nei confronti della sindaca si è tradotta in un’offerta d’aiuto. La Raggi, ha dichiarato Nicola Zingaretti, «dovrebbe affrontare con più decisione e collegialità temi per troppo tempo irrisolti. Ho passato più tempo ad occuparmi dei rifiuti di Roma di chiunque altro prima nella storia, dando una mano non tanto alla Raggi quanto soprattutto ai cittadini romani».
«Quel ' Raggi non si deve dimettere' - ha commentato Carlo Calenda - è un dietro front gravissimo. Mi spiace, ho parlato oggi con Nicola e insieme abbiamo lanciato la manifestazione di martedì per i curdi. È un persona con cui ho sviluppato un rapporto. Ma questa affermazione va oltre l’accettabile per un cittadino romano. Peccato».
Peccato, si sarebbe tentati di dire, che con un politico così si continui a collaborare, anche se solo per la manifestazione a favore dei curdi. D’altra parte ormai pende su tutti la spada di Damocle, forgiata nelle officine del Nazareno di quel «Altrimenti torna Salvini!». Eppoi, anche se si dissente su cose fondamentali, non bisogna mai tagliarsi i ponti alle spalle ( per non parlare di altri tagli più masochistici): qualche collegio elettorale sicuro e qualche incarico ministeriale è sempre possibile, specie dopo aver fatto il mea culpa sulle ‘ siocchezze’ scritte sul mercato e sul liberismo.
Un prestigioso filosofo del diritto, da sempre elettore della sinistra, mi ha scritto che nei mesi del Conte Uno si sentiva in un clima di resistenza antifascista: ora col Conte Due si sente di m.... Non sono un elettore di Salvini e ieri non pensavo che il governo gialloverde fosse quello di un ‘ nemico’ ma quello di un avversario politico: oggi, soprattutto alla luce di questa voglia zingarettiana di regolarizzare la convivenza tra Pd e M5S con un bel matrimonio mi sento anch’io nelle condizioni del filoso citato. E comincio a capire la scissione di Matteo Renzi che, nel caso che i promessi sposi convolino a ingiuste nozze, pregusta di vedere il suo attuale 5 per cento raddoppiato se non triplicato.
La politica italiana è fatta di «un passo avanti e due indietro», per citare politici di altri tempi ( nel bene e nel male comunque giganti rispetto agli attuali): ne è maestro il Presidente del Consiglio che ha salutato nei grillini non l’antipolitica ma la vera politica, quella che rispetta e rafforza le istituzioni… Non si esclude, pertanto, che Nicola Zingaretti rilasci qualche intervista o scriva qualche articolo «per chiarire meglio il suo pensiero» , che poi è la formula classica per giustificare il contrordine compagni. Ma la pena rimane «mentre che ’ l danno e la vergogna dura»
L’Italia com'è non ci piace, scriveva millenni fa Giovanni Amendola: ed era l’Italia dei Giolitti, dei Sonnino, degli Einaudi, dei Salvemini, dei Turati, dei Vittorio Emanuele Orlando, dei Giustino Fortunato, dei Benedetto Croce, dei Luigi Sturzo etc. etc.! Non è difficile immaginare cosa avrebbe detto l’altro grande filosofo e politico napoletano dell’Italia di oggi: forse avrebbe rincarato la dose anche rispetto alla condanna senza appello del mio amico filosofo del diritto. Dispiace dirlo ma questa classe dirigente ( di destra, di sinistra, di centro) non è credibile.
La destra eleva una vibrata protesta perché una piccola percentuale dei tortellini emiliani è stata farcita con carne di pollo invece che di maiale ( pensate un po’!). La sinistra, bolla come fascisti, populisti, sovranisti quanti non ne condividono l’ipocrita buonismo e scaraventa nell’inferno chi non vuole far blocco coi grillini contro il presunto italico Peron ( come l’ha definito una vecchia parlamentare restia al pensionamento). E tra le battaglie simboliche del Paese legale comprensivo di casta e di anticasta - affonda, sempre di più, nelle sabbie mobili della decadenza il Paese reale.