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Il cerchio si chiude: si torna, di fatto, a Malagrotta. Perché il sito scelto il 31 dicembre dal sindaco di Roma, Virginia Raggi, per realizzare la nuova discarica di Roma, Monte Carnevale, dista solo qualche centinaio di metri dallo storico buco nero capitolino, quella Malagrotta passata alle cronache come la più grande discarica d’Europa. Municipio XI, “Arvalia”: commissariato dall’aprile 2019 ( la Raggi è anche commissario straordinario e ha nominato l’ex presidente grillino, Mario Torelli, come suo delegato), e al voto in primavera per rieleggere il nuovo Presidente e il nuovo Consiglio municipale dopo che in tre anni la compagine pentastellata vincente nel 2016 ha perso un consigliere dopo l’altro ritrovandosi, alla fine, in minoranza.
A dividere Monte Carnevale da Malagrotta c’è giusto il confine amministrativo fra due Municipi, l’XI “Arvalia” dove ricade appunto il nuovo sito, e il XII, “Monte Verde”, retto da una maggioranza M5S con Silvia Crescimanno presidente. La distanza in linea d’aria è di un paio di km, poco più di un tiro di schioppo.
In una sorta di nemesi storica, il 31 dicembre l’inconsapevole Virginia Raggi ha celebrato il funerale della vulgata grillina ( e di certo Pd) sulla gestione dei rifiuti. A chiudere Malagrotta fu il più grillino fra i Dem, quell’Ignazio Marino rimosso via notaio dopo la “scomunica politica” ricevuta dall’intera città, ivi compreso - caso unico nella storia - il Santo Padre. Marino è il precursore dei grillini veri e propri: una totale assenza di strategia politica, una visione della città nella migliore delle ipotesi settoriale e di corto respiro, incapacità programmatoria unita a una forma di arroganza inusitata. Celebri i battibecchi di Marino con la gente per strada, molti, guarda caso, proprio sui rifiuti. Un testimone passato a pie’ pari direttamente a Virginia Raggi: quanto scritto sul Marino politico può essere copiato e incollato alla Raggi. Due anni e mezzo quelli di Marino, tre e mezzo ( abbondanti) quelli di Raggi: 6 anni in cui la città è rimasta totalmente priva di una visione globale sul ciclo dell’immondizia, vittima della stessa propaganda dei suoi amministratori.
Nessuno di loro - forse ad eccezione dell’attuale amministratore unico di Ama, il grillino Stefano Zaghis di cui parleremo avanti - sembrava aver non tanto compreso come concetto ma compreso come messaggio da veicolare ai cittadini che i rifiuti da soli non svaniscono, che la differenziata è una bella cosa ma ancor di più lo è il riciclo e il riuso dei materiali, che per avere un sistema equilibrato occorrono tutti gli elementi insieme, quelli per gestire l’indifferenziato e quelli per trasformare il differenziato in materiale da riciclare.
Perché come nel calcio non vince una squadra che giochi solo in attacco o solo in difesa perché è necessario un equilibrio fra i reparti e le fasi del gioco, così lo stesso vale per i rifiuti: la differenziata da sola non basta, come non basta da solo l’indifferenziato. Per trattare i rifiuti indifferenziati - e Roma ne produce ogni giorno 3mila e spicce tonnellate - occorrono molteplici sistemi. Sì, aumentare la raccolta differenziata può essere utile, per carità. Ma non basta semplicemente separare l’alluminio dal vetro o dal cartone quando buttiamo il sacchetto.
Perché occorre che quel materiale riciclato, sia poi reimmesso sul mercato sotto forma di materia prima. E questo avviene dopo un ciclo di lavorazione che Ama non fa se non in parti minime. Invece, da anni, i Sindaci della Capitale Veltroni, Alemanno, Marino e Raggi - si sono riempiti la bocca di “aumento della differenziata” ma mai di “aumento del riciclo”. Semplicemente, se dopo aver differenziato non riciclo, il cartone è buono per farci il falò. E l’alluminio neanche per quello.
E, nel frattempo, va gestito l’indifferenziato. Che sì, va ridotto in termini percentuali, ma fino a che non si azzera ( e, per inciso, lo “zero assoluto” nel rifiuto indifferenziato non è tecnicamente possibile perché ci sono rifiuti che non possono essere riciclati) va trattato.
Terzo pilastro: differenziato e indifferenziato sono i rifiuti secchi. Quando ne parliamo, dai politici ai giornalisti, stiamo parlando della cosiddetta “frazione secca”. C’è l’altro enorme buco nero: quello dell’umido. I rifiuti organici, gli scarti alimentari, vanno mandati al compostaggio. E Roma - tanto per cambiare - è totalmente insufficiente anche in questo: scrive nell’ultima relazione l’Agenzia per la Qualità dei servizi pubblici del Comune ( organo di nomina della maggioranza grillina) che nel “2018 il 92% dell’organico” è stato spedito “fuori Regione per il trattamento e lo smaltimento”.
Il Comune ha presentato in Regione i progetti per due nuovi impianti di compostaggio ( sono due anni che ci girano attorno senza aver ancora completato i passaggi preliminari). E l’Agenzia aggiunge, a questo proposito, l’invito a trasformare “la tecnologia prevista dall’attuale compostaggio aerobico in digestione anaerobica con produzione di biometano, che rappresenta al momento la frontiera tecnologica più avanzata e che garantisce minori emissioni nell’aria, minori odori, un compost di migliore qualità e la trasformazione del biogas in biometano utilizzabile per autotrazione da Ama stessa, ottimizzando così anche il bilancio economico”.
Dopo sei anni, invece, di favolette propagandistiche sulla differenziata che aumenta ( e invece diminuisce) e sulla diminuzione della produzione globale di rifiuti ( che invece aumenta), torniamo a Malagrotta. A due km da Malagrotta.
Ad oggi, l’unico che sembra pragmaticamente rendersi conto della necessità di investire anche nell’impiantistica sull’indifferenziato è Stefano Zaghis che, nel suo piano industriale, non ritiene necessaria solo la discarica ma sopratutto i termovalorizzatori. Perché quando si esce dalla propaganda buona per twitter e i tifosi- troll delle parti e si rientra nel mondo reale, ci si rende conto che Harry Potter e la sua bacchetta magica non dimorano fra noi e che senza impianti i rifiuti dalle strade non scompaiono.