PHOTO
Un mese o poco più e, a Roma, l’ennesima sceneggiata Raggi- Zingaretti sarà solo un pallido e dolce ricordo: fra un mese, il 31 dicembre, la discarica di Colleferro chiuderà. Definitivamente. E il caos di questi giorni sarà un momento bucolico rispetto a quel che potrebbe avvenire.
Ora, chiariamo: la parola “discarica” non indica più da molto tempo le bocche dell’Ade che inghiottono sacchetti dell’immondizia indifferenziata così come escono dalle case, tipo Malagrotta anni ’ 80-‘ 90. Le normative europee hanno stabilito che il cosiddetto indifferenziato “tal quale” - cioè i rifiuti così come li buttiamo nei cassonetti - in discarica non ci può più andare. Vanno trattati prima.
Il trattamento si fa con i TMB ( Trattamento Meccanico Biologico) dove si separano le frazioni, umido e secco in primis, e si “smistano” il più possibile i vari materiali contenuti nei sacchetti. Dopo di che, quelli bruciabili finiscono negli impianti di trattamento - gassificatori, termovalorizzatori, inceneritori da dove, poi, le ceneri finiscono in discarica oppure in discarica ci va quel poco di residuo che non si può bruciare. Roma produce 3mila tonnellate al giorno di rifiuti indifferenziati, 1.100 delle quali finivano nella discarica di Colleferro. Dove, per altro, finivano anche gli scarti della lavorazione di Rida Ambiente, società di Aprilia che tratta 4mila tonnellate a settimana di immondizia capitolina. In totale, quindi, la discarica di Colleferro inghiotte quasi due terzi dell’immondizia romana.
E il 31 dicembre la discarica chiuderà. Per esaurimento degli spazi. Solo che già dal 9 novembre scorso la discarica di Colleferro è chiusa, regalandoci un anticipo di quanto avverrà fra poco: sabato 9, infatti, dentro la discarica un operaio di 65 anni, Giuseppe Sinibaldi, è deceduto investito da una ruspa. La Procura di Velletri, che indaga sull’incidente, ha prima disposto il sequestro dell’area e poi ha chiesto al gestore la risoluzione delle criticità e una relazione dettagliata sulla sicurezza nell’impianto. Di fatto, quindi, Lazio Ambiente SpA - società partecipata della Regione Lazio ha chiuso i battenti della discarica a tutti.
Piccolo inciso: Lazio Ambiente è oggi presieduta da Daniele Fortini, ex presidente di Ama dell’era Marino, autore della chiusura di Malagrotta nel settembre 2013 e del piano alternativo d’aprile 2015 mai entrato in vigore, rimosso dalla Raggi appena insediatasi in Campidoglio, assunto immediatamente da Zingaretti da cui, stando alle denunce della Lega, pare si stia per separare per tornare, dopo aver partecipato a un concorso, a fare il consulente per Napoli, il sindaco Luigi De Magistris e la locale municipalizzata dei rifiuti, l’Asia. “Tocca a te”,” No, tocca a te”, “Sei inerte”, “Macché, sei tu a essere inerte”: sono, in sintesi, le “borsettate' via lettera e comunicato stampa che, da giorni, il sindaco di Roma, Virginia Raggi, e il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, sono tornati a scambiarsi dopo la breve pax governativa dei primi giorni del nuovo Governo Conte 2.
Una accusa l’altro: non hai fatto il Piano Rifiuti e spetta a te indicare dove fare la discarica. L’altro replica: ti sbagli, tocca a te indicare le aree e io autorizzo solo. Ovviamente, nessuno di loro scrive mai la parola discarica da nessuna parte. Figuriamoci. In mezzo c’è il pallido ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, che cerca di fare da pacere ma finisce per essere una controfigura evanescente di Ponzio Pilato. In tutto questo marasma, seduto sulla riva del Tevere, con una ciotola enorme di popcorn, finisce per giganteggiare Matteo Salvini cui i due ignavi litiganti rischiano di finire per consegnare tutto il cucuzzaro, la città di Roma, senza neanche obbligarlo a scendere davvero sul campo di battaglia.
In questo perverso gioco del cerino, né la Raggi né Zingaretti hanno messo seriamente mano al problema dell’impiantistica senza la quale il problema rifiuti sarà sempre presente. Zingaretti ancora non ha licenziato il piano rifiuti che deve ancora andare al voto in Consiglio regionale e siamo a un anno di ritardo dalla scadenza del precedente, nato nel 2012 ( c’era ancora Alemanno sindaco di Roma) e scaduto nel 2018. E, anche se fosse licenziato oggi, il Piano è uno strumento fondamentale, ammesso che le sue previsioni siano corrette, ma di lungo periodo e generale.
Il nuovo amministratore unico di Ama, Stefano Zaghis - settimo management dell’era Raggi alla guida della municipalizzata dei rifiuti in tre anni e mezzo di governo pentastellato - a un anno e poco più dalla fine del mandato in Campidoglio dei 5Stelle, an- nuncia un Piano industriale su 5 anni. Ma Colleferro chiuderà fra un mese. E da lì in poi non si vede come Ama, Comune, Regione e Ministero dell’Ambiente intendano evitare che la città sprofondi nel caos di una metropoli da quarto mondo.
Politicamente, poi, i Dem hanno la maggior quota di responsabilità del caos visto che, fra Regione, Provincia e Comune hanno governato il territorio per i due terzi ( oltre 16mila giorni sui 25mila totali) dei mandati elettorali contro il 25% del centrodestra e solo il 10% dei 5Stelle. E fra i politici il più “longevo” seduto sullo scranno più alto è proprio Nicola Zingaretti che è rimasto in carica 1703 giorni come Presidente della Provincia di Roma e quasi 2.500 ( è in carica, quindi il conto è in divenire) alla guida del Lazio.
Il caos di questi mesi - le cui radici affondano nel 1999, anno in cui l’Unione Europea modificò le normative sulle discariche stabilendo la fine di Malagrotta senza che a Roma si provvedesse a una soluzione alternativa concreta andando di proroga in proroga - ha mille padri e tutti sono certi e ben identificabili.
Il Pd ha tenuto una linea politica ipocrita: su carta si parla di creare impianti per poi cancellarli per le proteste dei Dem locali. Lunga sequenza di casi: Guidonia, Albano Laziale, Colleferro, Bracciano.
La storia di questi impianti è praticamente identica per tutti: a livello regionale si decide per il sì e poi, appena ci sono le proteste locali, si cancella tutto.
E se sul caos rifiuti romano, per il Pd c’è questa vena di ipocrisia e questa enorme quota di responsabilità - epitome è il gassificatore di Malagrotta, pronto a operare ma ignorato perché di proprietà di Manlio Cerroni, avversato nemmeno fosse Lord Voldemort - c’è incoscienza e incapacità ma non ipocrisia fra i 5Stelle. Semplicemente. Per loro la differenziata è quella che risolverà il problema rifiuti: se differenzio, sostengono, non avrò più bisogno di impianti per l’indifferenziato. L’incompetenza e la miopia di queste idee si stanno ripercuotendo direttamente su Roma: da luglio 2016, il 7 si insediò la prima e lontanissima Giunta Raggi, a oggi non sono stati fatti passi avanti. Anzi, si arretra.
La percentuale differenziata cala invece che crescere. Aumenta la produzione di rifiuti mentre, secondo i piani della Raggi, sarebbe dovuta diminuire. Salgono i costi e diminuisce la resa del servizio: le ultime rilevazioni - Mediobanca e Cittadinanza attiva - attestano al di là di qualunque polemica, che a Roma si pagano le tariffe più alte d’Italia per ricevere uno dei servizi più scadenti oggi esistenti. È chiaro, al netto di singoli aspetti procedurali sui vari impianti in discussione o in programmazione, che fino a quando la politica continuerà ad alimentare il vento della protesta sul territorio per rimpinguare bacini elettorali altrimenti asfittici, il problema non sarà mai risolto.
Né incoraggiano, in questo, le prese di posizione dell’ultim’ora di esponenti leghisti e di Fratelli d’iItalia alla decisione della Raggi, presa in qualità di sindaco della Città Metropolitana, di spedire per qualche giorno i rifiuti romani a Civitavecchia.
Ciascuno di quelli che si schiera sul fronte del “no” a questa decisione - per altro tardiva e quasi certamente insufficiente del tutto a soddisfare i bisogni di Roma in termini di assorbimento quantitativo dei rifiuti - pensa di passare all’incasso oggi nel brevissimo periodo ma dovrà comunque affrontare il problema domani. Che la Raggi e i 5Stelle possano pensare a un secondo mandato in Campidoglio non arrivano a sognarlo neanche i più accesi ultras del Movimento. Né il Pd, se proseguirà su questa strada, potrà avere molte chance di farcela.
Quindi, le possibilità - proiettando l’attuale scenario alla primavere 2021 quando si voterà per il rinnovo del Sindaco di Roma che il prossimo primo cittadino sia un esponente di una coalizione di centrodestra sono piuttosto concrete. E il problema rifiuti, quasi certamente aggravato rispetto ad oggi, dovrà ugualmente essere risolto.
Che il consigliere regionale 5Stelle, Devid Porrello, con bacino elettorale a Civitavecchia si schieri contro la Raggi può anche essere normale visto il crepuscolo di consensi dei grillini. Che lo facciano esponenti della Lega o di Fratelli d’Italia denota solo la visione politica centrata sull’immediato.
Perché una cosa è certa: molti iniziano a invocare il commissariamento di Ama e del Comune sull’impiantistica dei rifiuti. Ma nessuna parte politica ha approntato un minimo di piano reale e concreto per affrontare il problema. Molto più comodo lavarsene le mani e nominare un “dictator” che risolva il problema per tutti. Tutti potranno continuare a dire “no” sul territorio ma sperano, sotto sotto, che il Commissario tolga le castagne dal fuoco a una politica tanto verbosa quanto inconcludente.
A Roma, però, ci siamo già passati. L’allora prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, il 20 luglio 2011 venne nominato commissario straordinario per l’emergenza rifiuti quando a Palazzo Senatorio sedeva Gianni Alemanno, alla Provincia di Roma c’era Nicola Zingaretti, e alla Regione Lazio, Renata Polverini. A Palazzo Chigi, per inciso, sedeva Silvio Berlusconi e ministro dell’Ambiente Francesco Saverio Romano.
A maggio 2012 - Mario Monti a Palazzo Chigi e Corrado Clini al Ministero dell’Ambiente - Pecoraro si dimise. Durante in carica: 310 giorni nei quali Pecoraro si scontrò con i veti incrociati. Polverini contro Alemanno. Alemanno contro Zingaretti. Zingaretti contro Polverini. I comitati del “no” a Corcolle, Villa Adriana, principi e marchesi, associazioni varie e cittadini consapevoli. Tutto un mondo unito per i “no” ma incapace di partorire una sola idea reale per uscire dall’emergenza.
Più indicativa di tutto la dichiarazione di Pecoraro all’indomani della resa di un prefetto commissario senza poteri, autorità e autorevolezza: “Io il mio l'ho fatto, mi sono assunto le responsabilità e ho fatto delle scelte come commissario: ora tocca agli altri rispettarle o assumersi la responsabilità di fare andare Roma in emergenza, tanto per essere chiari”.
Commissariare oggi Roma può apparire la soluzione unica per uscire all’impasse in cui un ventennio di politiche pusillanimi, a tutti i livelli Governo, Regione, Provincia e Comune più i vari partiti politici, hanno gettato Roma. La Raggi arriva ultima. E sue non sono certo le responsabilità che nascono a fine anni ’ 90. Ma sue sono quelle di non aver saputo né voluto trovare una soluzione da quando siede a Palazzo Senatorio limitandosi a non decidere, a dilazionare e rinviare, sperando che fossero altri a prendere decisioni che spettano, purtroppo, al Sindaco della Capitale d’Italia e non ad altri.
Commissariare oggi è forse l’ultima spiaggia ma a condizione che il Commissario sia messo nella possibilità di lavorare e che le sue scelte - inutile girarci intorno: sono sempre le stesse. Pizzo del Prete come discarica, termovalorizzatori e Tmb a Malagrotta, Colleferro, Guidonia, Albano, Bracciano - siano se non supportate almeno non ostacolate da chi teme di perdere qualche voto nel piccolo feudo di provincia. Altre strade non esistono. Inutile girarci intorno e prendere in giro il prossimo con spedizioni all’estero o il beneplacito di altre regioni. La Capitale d’Italia non può dipendere da questo. E, fino a che si continueranno a impiegare queste cure palliative, non usciremo mai da questa maleodorante spirale.