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Mentre non si placano le polemiche, montate ad arte, per la concessione dei doverosi domiciliari per alcuni detenuti a l 41 bis con gravi patologie fisiche, c’è un ergastolano che ha varcato le soglie del carcere nel lontano 1983 quando era poco più che maggiorenne. Un’intera esistenza nel carcere. Talmente lunga che nel frattempo il suo clan mafioso di appartenenza è stato decapitato, tanto da aver ottenuto qualche anno fa la collaborazione impossibile. Ciò significa che non è più ostativo, quindi teoricamente avrebbe la possibilità di usufruire dei benefici della pena.
Parliamo di Giovanni Agresta, detenuto fin dal 1983 e tratto in arresto nell’ambito dell’operazione “Isola Felice” che ha portato, di fatto, a sgominare il clan Zagari. Nel corso degli anni ha manifestato varie patologie, tra le quali in particolare ipertensione e diabete mellito non compensato che l’hanno portato a godere dal 2008 al 2010 di un biennio di sospensione pena. Successivamente il Tribunale di sorveglianza di Milano ha disposto il rientro in carcere considerando l’Agresta compatibile con la detenzione presso istituto dotato di centro clinico.
È in concreto pericolo per la sua salute, ha subito recentemente un ictus ischemico e rischia di avere una perdita irreversibile della funzionalità degli arti, bocca e faringe. Ha tante di quelle patologie che, se non curato adeguatamente fuori dal carcere milanese di Opera, dove è attualmente recluso, rischia di essere perduto per sempre. Ma il magistrato di sorveglianza ha rigettato le istanze per ottenere i domiciliari per gravi motivi di salute, ritenendolo ancora socialmente pericoloso.
In base a che cosa? Alle motivazioni della condanna di quai 40 anni fa. Non importa che abbia trascorso una intera esistenza dove inevitabilmente ha subito un cambiamento, una sua personale revisione critica del passato. Non importane nemmeno considerare il fatto che quando commise i delitti, in ambito mafioso, lui era uno di quei numerosi giovanissimi cresciuti all’ombra dei clan e dei cattivi maestri, pronti a morire o uccidere. Giovani che lo Stato ha il dovere di fermare, ma anche di recuperare.
Il suo avvocato difensore Filippo Biolo del foro di Vicenza, tra l’altro classe 1983 ( anno in cui Agresta ha varcato le soglie del carcere) spiega a Il Dubbio che nel corso del tempo le condizioni cliniche sono andate via via peggiorando «anche in ragione dell’assoluta noncuranza con il quale lo stesso è stato seguito nell’ambito dei vari istituti».
Nel corso del 2019 l’ergastolano Agresta ha ottenuto la” collaborazione impossibile”, nella quale si dà atto che il clan in cui era affiliato è stato smantellato definitivamente. Diverse sono le istanze per chiedere i domiciliari per almeno poterlo curare, ma puntualmente vengono rigettate. Il 30 gennaio Agresta rimane colpito da ictus ischemico: l’avvocato Biolo ha depositato una nuova istanza provvisoria al magistrato di sorveglianza allegando la cartella clinica e facendo presente come i timori rappresentati nella prima istanza si fossero, di fatto, concretizzati in tutta la loro drammaticità.
Il 13 marzo scorso il rigetto: il magistrato in due righe liquida la questione sottolineando che: «In ragione della pericolosità del reo non si ravvisano elementi tali da giustificare un differimento della pena neppure nelle forme della detenzione domiciliare». Una pericolosità desunta dalla condanna di esecuzione di pena inflitta quasi 40 anni fa. Il Tribunale di sorveglianza di Milano ha in seguito confermato il rigetto dopo una udienza che – secondo quanto riferito dall’avvocato – è durata pochissimi minuti. L’avvocato ha potuto parlare per tre minuti e l’ergastolano Agresta circa 30 secondi in videoconferenza.
Il 31 marzo l’avvocato ha ripresentato una nuova istanza soffermandosi esclusivamente sulla pericolosità del reo e, soprattutto, sul mancato svolgimento delle terapie. Ad oggi ancora nessuna risposta, nonostante si è aggiunta l’emergenza Covid 19. Virus fatale per lui a causa delle patologie pregresse.
«Ritengo inaccettabile in uno Stato di diritto che si fregia, come il nostro, della sua cultura giuridica millenaria, l’atteggiamento di certa ( ma, sottolineo, certa) magistratura di Sorveglianza È inutile, infatti, nascondere una realtà che tutti i colleghi penalisti vivono quotidianamente sulla loro pelle: troppo spesso nelle aule di giustizia si assiste allo spettacolo di giudici che, lungi dall’essere terzi ed imparziali, sono mossi da pulsioni giustizialiste loro proprie o diventano “braccio armato” di quelle dettate dall’opinione pubblica», commenta così l’avvocato Biolo.
Noi aggiungiamo che quei pochi magistrati di sorveglianza che svolgono con scrupolosità il loro lavoro, vengono colpiti da taluni giornali e subiscono forti pressioni dall’opinione pubblica fuorviata dalla cattiva informazione. Ma nonostante tutto, rimangono indipendenti. Ci si augura che lo siano anche nei confronti dell’ergastolano Agresta.