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Il governo italiano vuole riaprire il caso Amanda Knox. Ed è per questo che Palazzo Chigi ha chiesto alla Corte per i diritti umani di Strasburgo di ripronunciarsi sul risarcimento riconosciuto lo scorso 24 gennaio alla giovane americana per violazione del diritto di difesa, chiedendo un rinvio del procedimento davanti alla Grande Camera, istanza sulla quale la Corte si pronuncerà lunedì prossimo.
Una richiesta, quella del governo, presentata proprio dopo il ritorno in Italia, a 8 anni dall’ultima volta, della giovane, assolta definitivamente dalla Cassazione insieme a Raffaele Sollecito dall’accusa di aver ucciso la sua coinquilina Meredith Kercher a Perugia e ospite, lo scorso week end, del Festival della Giustizia penale a Modena, dove ha raccontato il processo mediatico subito negli anni del processo.
I giudici di Strasburgo, a gennaio, avevano condannato l’Italia a versare 18.400 euro ( di cui 8mila per le spese legali) alla Knox, per aver violato l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel corso dell’interrogatorio del 6 novembre 2007, quando la giovane fu sentita senza la presenza di un avvocato, circostanza sulla quale le autorità italiane non sono state in grado di fornire spiegazioni adeguate.
Ma per i giudici, la violazione, seppur grave, non avrebbe compromesso l’equità complessiva del procedimento. L’altra infrazione riguarda invece l’assenza di un traduttore nel corso del processo, pregiudicando la capacità della Knox di comprendere le accuse che le venivano rivolte. La giovane aveva chiesto 500mila euro di danni morali e oltre due milioni per le spese sostenute durante il processo, denunciando di essere stata colpita alla testa durante un interrogatorio e di aver subito pressioni psicologiche per estorcerle una confessione, senza tener conto, come evidenziato anche dalla sentenza, dello stato di profondo choc emotivo e di confusione in cui si trovava la donna.
Per tale motivo, la Corte ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 3 sotto il profilo procedurale, in quanto il governo non avrebbe indagato su possibili trattamenti disumani o degradanti o atti di tortura commessi a danno della giovane, ma non sotto il profilo sostanziale, in quanto, in assenza di prove, i maltrattamenti non risultano dimostrati. «Sono stata interrogata per 53 ore in 5 giorni, senza un avvocato, in un linguaggio che capivo forse come un bambino di 10 anni.
Sono stata schiaffeggiata sulla nuca mentre mi dicevano “Ricorda!” - aveva spiegato Amanda - La Corte di Cassazione ha già riconosciuto che gli investigatori e inquirenti di Perugia hanno contaminato, manomesso e distrutto prove materiali. Quello che non è stato riconosciuto è stato il fatto che gli stessi investigatori e inquirenti hanno sottoposto persone innocenti, Raffaele e me, a torture psicologiche e abusi fisici mentre eravamo sotto interrogatorio»