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«Piano piano la giustizia della Cassazione restituisce dignità a questa vicenda», ha dichiarato ieri l’avvocato Domenico Aiello all’indomani della definitiva assoluzione di Roberto Cota. «Naturalmente - prosegue poi il legale dell’ex presidente della Regione Piemonte - nessuno potrà restituire ciò che è stato tolto a Roberto Cota e alla sua famiglia in questi anni».
Era il 2012 quando esplosero in tutta Italia le Rimborsopoli regionali. In Piemonte, sotto la lente della Procura di Torino, finirono oltre cinquanta consiglieri regionali. Per tutti, a partire dall ‘ allora presidente Cota, l’accusa di di aver speso in modo inappropriato i fondi destinati ai gruppi consiliari. L’indagine venne subito battezzata dai giornali come lo scandalo delle “mutande verdi”, che in realtà erano dei pantaloncini ginnici, acquistati da Cota durante una sua trasferta all’estero e per i quali aveva poi chiesto il rimborso.
Il processo è stato caratterizzato da una girandola di sentenze per l’ex governatore leghista. Assolto in primo grado, condannato ad un anno e sette mesi di reclusione in appello, nuovamente assolto in Cassazione. Con Cota era stato indagato anche l’attuale capogruppo della Lega a Montecitorio, Luca Molinari, uno dei parlamentari leghisti più vicini a Matteo Salvini, all’epoca giovane consigliere regionale. Per lui l’accusa era di essersi fatto rimborsare spese non giustificate per circa 1.200 euro.
L’indagine era stata condotta con notevole impiego di personale da parte della dalla guardia di finanza. Per mesi, decine di finanzieri avevano controllato uno ad uno alla ricerca di una “pezza” giustificativa le migliaia di scontrini per i quali era stato chiesto il rimborso. Nel calderone dei rimborsi era finito di tutto, dalle spese in bar e ristoranti, agli acquisti vari, come appunto le “mutande verdi” di Cota.
Erano “spese di rappresentanza” scrissero i giudici di primo grado. Giustificazione che verosimilmente, quando saranno note le motivazioni, avrà avvallato la Cassazione. Pene confermate, invece, per Michele Giovine, ex leader dei Pensionati per Cota, e Massimiliano Motta, ai tempi esponente del Pdl, condannati, rispettivamente, a quattro a sei mesi e due anni e due mesi. Da ieri, per effetto della legge Spazzacorrotti che ha cancellato la sospensione condizionale della pena per i reati contro la Pa, i due sono già in carcere. Quando esplose l’inchiesta, i grillini parlarono di “onta da lavare il voto” e di “incapacità di intendere e volere” da parte della giunta Cota di non dimettersi. Giunta che, comunque, terminò con un anno di anticipo, nel 2014, per una sentenza del Tar che annullò le elezioni del 2010 per irregolarità nella raccolta firme.