Una degli avvocati di Julian Assange, Stella Morris, ha rivolto un appello per il rilascio del fondatore di Wikileaks che, secondo la legale, rischia di essere contagiato dal coronavirus nel carcere di Belmarsh, dove è detenuto da quando ha lasciato l’ambasciata dell’Ecuador a Londra l’anno scorso. Morris ha detto che il rischio di contrarre il Covid19 è «endemico» nelle prigioni ed il suo cliente, che ha 48 anni, sarebbe più vulnerabile per problemi fisici e mentali. Morris specifica che Assange «è in isolamento per 23 ore al giorno e tutte le visite sono state sospese». È fissata per il prossimo 18 maggio l’udienza per l’estradizione negli Stati Uniti. Il mese scorso è stata rifiutata la richiesta di rilascio su cauzione perché è stato ritenuto alto il rischio di fuga da parte di Assange. L’appello è stato affidato alla Press Association, agenzia britannica che rivela - citando documenti processuali - che Assange e Morris sono una coppia dal 2015 ed hanno anche due figli, uno di 3 ed uno di un anno. Morris ha raccontato di aver incontrato Assange nel 2011 quando lei era un’assistente legale e lui viveva nell’ambasciata dell’Ecuador dove è stato rifugiato per sette anni per evitare l’arresto avvenuto poi lo scorso aprile.
Il caso
Le prime udienze si sono svolte in febbraio, e dopo una pausa il processo riprenderà il prossimo 18 maggio. Sono dure le accuse che gli Usa rivolgono ad Assange: in una prima fase, si trattava sostanzialmente di cospirazione volta ad attaccare il sistema informatico del governo statunitense. Nel maggio del 2019 l’accusa è stata decisamente rafforzato con ulteriori 17 ulteriori imputazioni per violazione delle leggi anti-spionaggio. Tra il 2010 e il 2012 la piattaforma Wikileaks aveva diffuso su Internet centinaia di migliaia di documenti segreti, soprattutto il merito alla guerra in Iraq: contenevano, tra le altre, informazioni scottanti in merito alle missioni americane nel Paese, rivelando anche di uccisioni di civili e maltrattamenti di prigionieri. Sull’altro fronte, gli inquirenti americani contestano che le rivelazioni di Wikileaks siano da considerarsi «pubblicazioni giornalistiche» protette dalla libertà di stampa. Al contrario, al processo londinese il legale che rappresenta gli Stati Uniti, James Lewis, ha ribadito che l’attività di Assange e di Wikileaks «ha messo in pericolo delle vite umane», avendo diffuso dati sensibili che hanno esposto informatori degli Usa in Iraq o in Afghanistan al rischio di venire torturati o uccisi. In pratica il processo sin dalle sue primissime battute è un botta e risposta senza sosta: l’avvocato di Assange, Fitzgerald, ha ricordato le accuse per le quali qualcuno negli Usa avrebbe pianificato «il sequestro o l’avvelenamento» del fondatore di Wikileaks mentre era rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra.